l'intervista

Dall'Iran in salvo in Italia, mamma con figlio di 18 mesi a Tgcom24: "Qui tornati a una vita normale"

L'architetto 36enne Fatemeh Sakhtemani ha riabbracciato il marito a Parma dopo giorni di paura, senza rifugi e senza sirene d'allerta, nel corso di una vacanza che si è trasformata all'improvviso nel peggiore degli incubi

di Gabriella Persiani
24 Giu 2025 - 07:30

"Sono stati tre giorni di viaggio e anche di angoscia per il rischio, da cittadina iraniana, di non riuscire a superare la frontiera dell'Azerbaigian: a Baku ci aspettava il volo per Milano Malpensa. Ma tutto è andato bene, siamo stati costantemente tranquillizzati dai carabinieri, erano preparatissimi e si vedeva. Ogni cosa era stata organizzata alla perfezione. Sapevamo che i nostri accompagnatori non ci avrebbero mai lasciati soli, ce l'hanno detto. Solo il mio bimbo ha risentito un po' di quello stress, ma è già tornato all'asilo. Grazie all'Italia, finalmente, siamo nella vita normale". Con qualche ora di riposo alle spalle, ("ma poche, perché i giornalisti chiamano in continuazione", sottolinea), dalla sua casa di Parma, Fatemeh Sakhtemani, 36enne architetta iraniana, con un figlio di 18 mesi da un medico italiano, a Tgcom24 racconta la paura che non può dimenticare, insieme alle bombe che cadono da giorni su Teheran e sulla casa di famiglia.

Quel viaggio in famiglia trasformato in un incubo dalla guerra

 "Dal primo attacco israeliano io e i miei genitori abbiamo abbandonato la capitale per rifugiarci in campagna, le bombe cadevano sopra di noi, tremava tutto", racconta a Tgcom24 con il pensiero costante alla famiglia rimasta nel suo Paese. Una famiglia che non ha mai superato il trauma del conflitto con l'Iraq degli Anni Ottanta. "Mia madre non può dimenticare le sirene e le bombe di allora, le corse ai rifugi - sottolinea. - E le bombe di oggi, ma stavolta non anticipate dalle sirene d'allarme e che arrivano senza scampo, perché in Iran non ci sono più i rifugi, riportano indietro di decenni, a quella sofferenza, a quando mio padre era arruolato e lasciava con la giovane moglie figli piccoli". Poi una pausa e un altro sospiro: "Finalmente, dopo giorni di lontananza e silenzio, tramite messaggi, sono riuscita a rintracciali".

Fatemeh era atterrata a Teheran il 5 giugno. Il biglietto di ritorno era stato acquistato per il 17 giugno, ma prima è stata sorpresa dall'imponderabile. "Da sempre in Iran si vive con la spada di Damocle di un attacco israeliano, ma certo non ce lo aspettavamo proprio adesso. Tutti si chiedevano 'perché?' e 'perché proprio ora?'. Nessuno voleva credere a quello che stava accadendo".

"Io ero con i miei, perché volevo far conoscere loro mio figlio e perché, ritirando dei documenti, avrei voluto chiudere al rientro il mio iter per la cittadinanza italiana. Ma tra il 12 e il 13 una bomba ha colpito il poliambulatorio sotto casa. Per fortuna nessuna vittima e i palazzi sono rimasti in piedi. Ma da quel momento tremava tutto a ogni scoppio. Tornare da mio marito era diventato impossibile, lo spazio aereo era stato chiuso e a me non è rimasto che chiamare l'ambasciata italiana per chiedere aiuto. Lì eravamo in trappola".

La mano tesa dell'Italia

 "Al centralino dell'ambasciata mi ha risposto Giuseppe, lo ricordo bene il suo nome, non posso dimenticarlo. Come tutti noi era sotto le bombe nel nord di Teheran, ma, nonostante vivesse le nostre stesse angosce, ha speso accorate parole per tranquillizzarmi, per rassicurarmi: potevo andare a stare da loro, non avrebbero lasciato lì me e il mio bambino per nessun motivo, non era importante che non io fossi italiana come mio figlio, anche io sarei stata aiutata".

"Abbiamo giocato fino all'ultimo con il bambino"

 "Sotto le bombe l'unico pensiero mio e dei miei genitori era non traumatizzare mio figlio - dice tornando a quei drammatici momenti nel mirino di Israele. - Abbiamo giocato fino all'ultimo e il bimbo si era molto affezionato ai nonni. Mentre andavamo via piangeva inconsolabile, ripetendo il nome di mio padre. E' stato ancor più straziante metterci in salvo e lasciare loro lì".

"Il mio sogno è che in tutto il mondo si vada a letto con un sorriso: basta guerre"

 "Mi sento sempre un po' iraniana - conclude Fatemeh a Tgcom24, - e vorrei solo che questa guerra finisca al più presto. E che cessino tutti i conflitti, perché nessuno al mondo merita di vivere in guerra, ogni giorno con quella paura, con quell'angoscia. Ogni uomo dovrebbe mettersi a letto la sera con il sorriso".

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