Garlasco, i protagonisti della nuova inchiesta
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A Brescia si accendono i riflettori sui mezzi comprati e rivenduti dall'ex procuratore pavese e dal suo collega Mazza. Emergono anche i verbali delle testimonianze dei genitori di Sempio sul Dna sotto le unghie di Chiara e dell'ex carabiniere Spoto: "Intercettazioni subito per archiviare"
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Il quadro dell'inchiesta bresciana sul "sistema Pavia", per un presunto scambio di favori tra magistrati, imprenditori, politici e forze dell'ordine, si intreccia col delitto di Garlasco per la presenza di Venditti ma anche di alcuni ex carabinieri della sua "squadra". Ciò viene a galla dai decreti notificati all'ex procuratore pavese e al pm, ora a Milano, Pietro Paolo Mazza. Contestazioni identiche, in concorso per corruzione e peculato per 750mila euro e una decina di auto di grossa cilindrata, contenute in due pagine e con gli investigatori, come si legge, che stanno cercando tutti i documenti su acquisti e pagamenti di auto "per sé o per i familiari" e sulla "manutenzione delle stesse", compresi "tagliandi e cambio gomme".
Occhi puntati, dunque, sullo "stanzone" dove passavano tutte le operazioni di ascolto della procura di Pavia, assegnate a Pietro Paolo Mazza, con una "squadra" di carabinieri di polizia giudiziaria composta da uomini di fiducia di Mario Venditti che in quegli anni, dal 2018 al 2021, era facente funzioni di capo della procura. Di lui un militare dell'allora nucleo informativo sentito come testimone, Giampiero Ezzis, come riporta La Repubblica, spiega: "Funzionava che se eri nelle sue grazie venivi esaltato. Altrimenti eri affossato". Del sistema parla anche l'ex carabiniere Spoto ("Venditti mi fece fretta sulle intercettazioni, voleva solo archiviare"), sentito il 26 settembre insieme ai genitori di Andrea Sempio.
A ricostruirla La Repubblica, con l'ex maresciallo Antonio Scoppetta, già condannato a 4 anni e sei mesi per corruzione, "portafoglio sempre gonfio di soldi, bella vita e un debole per il gioco", si legge, e il capo del gruppo Silvio Sapone, "il luogotenente ricordato per aver sancito l'assenza di interesse investigativo nelle intercettazioni diAndrea Sempio nel caso Garlasco".
Sarebbero stati loro i due "boss" dell'ufficio, secondo La Repubblica, con un ruolo sovraordinato rispetto agli altri, "per il rapporto privilegiato" con Venditti. Anche l'ex maggiore Maurizio Pappalardo sarebbe stata una presenza fissa nello stanzone. Pur non avendone titolo, aveva accesso ai fascicoli delle indagini in corso e ogni giorno era in riunione con Venditti. Un altro habitué dell'Ufficio intercettazioni era anche Cristiano D'Arena, titolare di Esitel, che forniva i servizi di ascolto, e della CrService che aveva "il monopolio" delle auto noleggiate per le indagini. Con il fratello, poi, proprietario del ristorante dove tutta la Squadra si ritrovava per lauti pranzi. Un intreccio "anomalo", dunque, per la procura di Brescia.
"Ricordo comunque che per le intercettazioni mi venne chiesto in tutta fretta di trascriverle, tanto è vero che le feci in uno o due giorni, perché il dottor Venditti disse che gli servivano subito per fare l'archiviazione". Questo ha messo a verbale, il 26 settembre, l'ex carabiniere Giuseppe Spoto, sentito come teste dagli investigatori della Gdf di Brescia e Pavia e dai carabinieri di Milano nell'inchiesta bresciana a carico dell'ex procuratore pavese Mario Venditti, accusato di aver scagionato Andrea Sempio per il caso Garlasco in cambio di soldi.
Nella deposizione si chiede conto a Spoto dell'ormai nota questione delle intercettazioni della famiglia Sempio, che, secondo le indagini in corso, furono trascritte male o solo parzialmente nel 2017. Spoto ha chiarito che ricordava l'"intercettazione avvenuta dopo l'interrogatorio dove padre e figlio si confrontavano su ciò che avevano detto" e che quella era "rilevante perché parlavano dell'interrogatorio". Su quella in cui il padre di Sempio diceva che bisognava "pagare quei signori lì", a suo dire, si riferiva al pagamento dei legali, "per come la leggo io". E ha aggiunto: "Poi onestamente vi dico una cosa. Il dottor Venditti mi chiese le trascrizioni in fretta in uno, due giorni, quindi è possibile che ci sia stata qualche inesattezza".
A Spoto è stato anche chiesto se sapesse perché Sapone, l'altro ex carabiniere perquisito, aveva parlato con Sempio, prima della notifica dell'invito a comparire, e lui ha risposto: "No, Sapone non mi ha mai detto nulla". E ha anche riferito che, quando furono piazzate le "cimici" per le intercettazioni sulla macchina dei Sempio, c'erano un "tecnico" e il "maresciallo Scoppetta", poi condannato nel processo pavese 'Clean2'. E che quell'ora che passò dalla sua visita a Sempio fino alla notifica dell'invito a comparire fu dovuta al fatto che "dovevo far perdere tempo a Sempio" per l'intervento sulle 'cimici' da mettere di nascosto.
Da verbali e atti emerge, dunque, una discrepanza sull'orario dell'installazione delle microspie sull'auto di Sempio. Per l'ex carabiniere Giuseppe Spoto, perquisito a fine settembre, "il giorno della notifica, all'orario della notifica" dell'invito a comparire, ossia il pomeriggio dell'8 febbraio 2017, "venne materialmente installata la microspia". Agli inquirenti, invece, risulta che "le intercettazioni sulla vettura siano partite alle 01.35" dell'8 febbraio, "non durante la notifica".
"Quando siamo andati dagli avvocati, credo che mi avessero parlato del fatto che il genetista Linarello avesse tirato in ballo la storia del Dna di mio figlio Andrea. Dunque l'avvocato Lovati mi consigliava di rivolgermi a Garofano, per la storia del Dna". Così ha risposto Giuseppe Sempio, per la seconda volta indagato per l'omicidio di Chiara Poggi del 2007 a Garlasco, in un passaggio del suo verbale del 26 settembre nell'inchiesta bresciana che vede l'ex procuratore di Pavia Mario Venditti accusato di aver preso soldi per scagionare l'amico del fratello della vittima, con una richiesta di archiviazione del marzo 2017.
Quel 26 settembre molte domande degli investigatori della Gdf di Brescia e Pavia e dei carabinieri di Milano si sono concentrate, sia nella deposizione del padre che della madre di Sempio, sul fatto che gli avvocati e la famiglia avessero a disposizione già delle informazioni sull'indagine, come quelle sulla consulenza di Linarello per la difesa di Alberto Stasi trasmessa ai pm pavesi, anche prima dell'8 febbraio 2017, quando Sempio ricevette l'invito a comparire per l'interrogatorio di due giorni dopo.
Un tema di indagine nel filone bresciano sul caso Garlasco, dunque, tanto che in un atto la pm Claudia Moregola indica anche la necessità per l'inchiesta di "assumere" la testimonianza di Luciano Garofano, l'ex comandante del Ris e ormai ex consulente della famiglia Sempio dopo la rinuncia all'incarico. Deposizione utile per chiarire come avesse ottenuto la "disponibilità delle relazioni" dei consulenti della difesa Stasi, Matteo Fabbri e Pasquale Linarello, di cui "dà atto nella relazione datata 27 gennaio 2017", ossia quella che Garofano inoltrò alla famiglia con le sue valutazioni. E che poi non fu depositata nel procedimento, anche perché un paio di mesi dopo la prima inchiesta su Sempio fu archiviata.
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Nella sua testimonianza, depositata agli atti dell'udienza al Riesame di Brescia dopo il ricorso di Venditti contro le perquisizioni, la madre di Sempio, Daniela Ferrari, spiega che il 23 dicembre 2016 già "al telegiornale avevano detto che sotto le unghie di Chiara Poggi era stato trovato il Dna di mio figlio". Dopo aver incontrato i legali, il 30 dicembre i due genitori videro Garofano. Gli investigatori domandano: "Che consulenza poteva essere affidata al generale Garofano se non avevate ancora le carte?". Gli atti non erano depositati.
Daniela Ferrari in più punti del verbale ha ripetuto che i soldi prelevati in contanti, dopo i prestiti delle zie di Andrea (hanno messo a verbale di averlo fatto per aiutare la famiglia, senza nemmeno saperne la ragione all'inizio), "servivano per avere le carte", così "ci dicevano gli avvocati". Dagli avvocati, ha aggiunto, "ci andavano sempre mio marito e mio figlio e quando tornavano dicevano che servivano soldi per avere le carte". Hanno pagato, come ha detto il marito, "55mila o 60mila euro".