Le caratteristiche del delitto richiamano quelle del precedente femminicidio compiuto dall'uomo, nel 2016. Intanto gli inquirenti scoprono che De Maria minacciò più volte la 50enne in passato
© Carabinieri
Emanuele De Maria, il detenuto che lavorava all'hotel Berna di Milano, prima di suicidarsi avrebbe ucciso Chamila Wijesuriya, barista nello stesso albergo, strangolandola a mani nude e causando la sua morte per soffocamento. Sono questi i primi esiti dell'autopsia sul corpo della donna, in attesa delle relazioni finali del medico legale. Quando è stato trovato nel Parco Nord di Milano, il cadavere aveva in bocca delle foglie: su questo aspetto gli inquirenti stanno indagando per capire se De Maria abbia effettuato sulla sua vittima una sorta di "rituale".
Le due ferite da taglio alla gola di Chamila, inferte con un coltello, e le ulteriori lesioni simili in corrispondenza dei polsi non sarebbero state la causa della morte e potrebbero essere state inferte dopo il decesso. L'ipotesi di una "ritualità" nel delitto deriva dalle modalità seguite da Emanuele De Maria anche nel precedente femminicidio che ha commesso nel 2016. Gli esami tossicologici, con tempi più lunghi, dovranno stabilire, poi, se De Maria avesse assunto droghe.
Nel frattempo, nell'inchiesta del pm Francesco De Tommasi e di polizia e carabinieri, si sta indagando anche su eventuali sottovalutazioni e mancate segnalazioni nel percorso trattamentale e carcerario del detenuto. Ascoltando una collega come teste, in particolare, gli inquirenti hanno scoperto che il 35enne avrebbe minacciato più volte Chamila, con cui era "possessivo e ossessivo". Lei temeva di essere uccisa. Lui le avrebbe chiesto anche soldi e le avrebbe detto che avrebbe potuto diffondere video intimi. Sembra però che questi dettagli non erano noti al datore di lavoro, che avrebbe dovuto eventualmente segnalarli al carcere. Gli inquirenti vogliono inoltre accertare se nelle relazioni di psicologi ed educatori del carcere ci siano state mancanze.