I sistemi di sorveglianza mostrano sia la fuga in metro dopo l'incontro con Chamila sia la colluttazione con il collega che lavorava nello stesso hotel. I giudici: "Imprevedibile l'esito drammatico della vicenda"
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Due aggressioni in meno di 24 ore. Una fuga documentata passo dopo passo dalle telecamere. E infine, la morte. Si è conclusa domenica mattina, con un volo dalle terrazze del Duomo di Milano, la drammatica parabola di Emanuele De Maria, 35 anni, accusato dell’omicidio della collega Chamila Wijesuriya e del tentato omicidio di un altro collega barista, un 50enne aggredito sabato all’alba. I giudici del Tribunale di Sorveglianza dicono che "il tragico esito della vicenda De Maria era imprevedibile".
Il primo atto risale a venerdì pomeriggio 9 maggio, ore 15:14. Le immagini di videosorveglianza in via Gorki, a Cinisello Balsamo, mostrano De Maria e Chamila mentre passeggiano nei viali del Parco Nord. Camminano lentamente sotto la pioggia, protetti da due ombrelli. Sembrano tranquilli, ma quelle inquadrature serene solo in apparenza diventano centrali nell’indagine. Poche ore dopo, la donna scompare. Ed è proprio grazie alla posizione rilevata dalle telecamere che gli investigatori orientano le ricerche nell’area verde. Domenica 11 maggio, il corpo senza vita di Chamila viene ritrovato in un laghetto del parco, con profonde ferite alla gola e ai polsi.
Alle 17:36 di quello stesso venerdì, le telecamere della stazione Bignami della metropolitana Lilla riprendono De Maria mentre scende le scale. Porta con sé uno zaino, un telefono e una borsa da donna: è quella di Chamila che avrebbe appena ucciso a coltellate al Parco Nord. Con calma, effettua due telefonate. Poi getta il cellulare in un cestino e si allontana.
Il giorno dopo, sabato mattina, un’altra sequenza. Due telecamere di videosorveglianza in via Napo Torriani, a due passi dalla Stazione Centrale, riprendono la seconda aggressione. Alle 6:20, De Maria, in jeans, t-shirt e cappellino nero, affronta un collega 50enne davanti all’hotel Berna. I due lottano. L’aggressore perde il coltello, ma lo recupera e colpisce il collega al collo. Prima di fuggire, si ferma a raccogliere un pacchetto caduto durante la colluttazione. La vittima riesce a raggiungere la porta dell’albergo e chiedere aiuto è grave, ma sopravvive.
La fuga di De Maria si chiude domenica 11 maggio, con un gesto estremo. Poco prima di mezzogiorno, riesce ad accedere alle terrazze del Duomo di Milano con un biglietto acquistato 24 ore prima. Si sporge e si lancia nel vuoto, sotto gli occhi attoniti dei turisti. Muore sul colpo.
Chamila Wijesuriya sarebbe la seconda donna uccisa da De Maria. La prima è Oumaima Rache, 23 anni, accoltellata a Castel Volturno, in provincia di Caserta. È il 2016 quando il nome di De Maria compare per la prima volta in un’inchiesta. All’epoca ha 26 anni ed è appena rientrato dall’Olanda, dove aveva studiato senza mai conseguire la laurea.
Riesce a fuggire prima che venga eseguito il fermo e per due anni fa perdere le proprie tracce. Verrà rintracciato e arrestato dalla polizia tedesca a Weener, cittadina al confine con i Paesi Bassi. Dopo l’estradizione, finisce nel carcere di Secondigliano e viene condannato a 14 anni e 3 mesi per omicidio volontario.
Nel 2021 viene trasferito a Bollate, dove entra nel circuito del reinserimento sociale. "Qui la dignità umana viene ripristinata completamente", dirà lui stesso in una puntata di Confessione Reporter. Diventa un "ventunista", cioè un detenuto autorizzato a lavorare all’esterno in base all’articolo 21 dell’Ordinamento Penitenziario. Dal 2022 lavora come barista all’hotel Berna, a pochi passi dalla stazione Centrale.
"La decisione è stata emessa in ragione di un percorso carcerario che si è mantenuto sempre positivo anche durante i due anni di lavoro presso l'albergo Berna, senza che nulla potesse lasciare presagire l'imprevedibile e drammatico esito". Lo scrivono in una nota il presidente della Corte d'Appello di Milano, Giuseppe Ondei, e la presidente facente funzione del Tribunale di Sorveglianza, Anna Maria Oddone, sul caso di Emanuele De Maria, il detenuto che aveva ottenuto il lavoro esterno e che ha ucciso la collega barista e ha tentato di uccidere un altro dipendente dell'albergo e poi si è tolto la vita.
Nella nota dei due presidenti, si legge che "a seguito dei tragici eventi ricondotti a Emanuele De Maria che suscitano un grande e condivisibile sconcerto, i Magistrati del Tribunale di Sorveglianza partecipano al dolore delle vittime e dei loro familiari". Inoltre, rimanendo "impregiudicate le iniziative che potranno essere assunte in ogni sede", riferendosi ai controlli degli ispettori miniteriali, "si comunica che il provvedimento emesso dall'Ufficio di Sorveglianza" è stato conforme e ha rispettato "la normativa ordinaria" che si applica a tutti i detenuti: è stato approvato il "programma predisposto dall'area trattamentale della Casa di Reclusione di Bollate di ammissione al lavoro all'esterno secondo l'art. 21 della legge sull'ordinamento penitenziario". "Nel caso concreto il provvedimento dell'Ufficio è stato assunto, previa acquisizione delle informazioni dalle Forze dell'Ordine, all'esito di un'istruttoria a cui hanno concorso, in piena collaborazione, l'amministrazione penitenziaria e tutti i soggetti coinvolti nella gestione del trattamento" di De Maria "al fine di garantirne la rieducazione sotto il vigile controllo degli operatori".
"La decisione - conclude la nota - è stata emessa in ragione di un percorso carcerario che si è mantenuto sempre positivo anche durante i due anni di lavoro presso l'albergo Berna, senza che nulla potesse lasciare presagire l'imprevedibile e drammatico esito".