Con la morte del reo confesso, si chiude la possibilità di un indennizzo per la famiglia della vittima. Mentre i genitori dell'assassino potrebbero chiedere i danni allo Stato
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Il femminicidio di Sara Campanella, la 22enne uccisa a coltellate a Villafranca Tirrena, in provincia di Messina, si è chiuso tragicamente senza un processo e senza giustizia: il reo confesso, Stefano Argentino, si è tolto la vita nel carcere di Gazzi. Ma la vicenda non si è fermata. Al danno si è aggiunto il paradosso: lo Stato italiano, per omessa vigilanza, potrebbe ora risarcire la famiglia dell'assassino, mentre i genitori della vittima restano esclusi da ogni forma concreta di compensazione. Un cortocircuito normativo che ha riportato al centro il dibattito sulla legge 199 del 2003, che regola gli indennizzi per le vittime di reati violenti.
Stefano Argentino, 27 anni, si è tolto la vita impiccandosi in cella, poche settimane prima dell'avvio del processo per omicidio volontario. La sua morte ha colto di sorpresa l'amministrazione penitenziaria: il giovane era stato in precedenza sottoposto a sorveglianza speciale per rischio suicidario, misura poi revocata nonostante i segnali allarmanti. Il suo legale, l'avvocato Giuseppe Cultrera, ha dichiarato: "L'unica responsabilità è da attribuire allo Stato, che non ha accolto la nostra richiesta di una perizia psichiatrica". Una dichiarazione che, al di là del suo valore difensivo, potrebbe anticipare una formale azione risarcitoria nei confronti dell'amministrazione penitenziaria, alla luce delle normative vigenti in tema di tutela della salute dei detenuti. Sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta. La salma è stata sequestrata e verrà effettuata l'autopsia per accertare eventuali responsabilità del personale penitenziario.
In base alla giurisprudenza vigente, la famiglia di Stefano Argentino potrà avviare un'azione risarcitoria contro lo Stato per omessa vigilanza. La tutela dell’incolumità fisica e della dignità dei detenuti è un principio fondamentale dell’ordinamento italiano, sancito dall'articolo 27 della Costituzione, che stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità" e devono tendere alla rieducazione del condannato. Inoltre, il regolamento penitenziario (D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) e la legge sull’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) delineano gli obblighi precisi dello Stato nel garantire condizioni di vita dignitose e sicure all’interno degli istituti di pena. La mancata attuazione di queste misure può configurare una responsabilità oggettiva dello Stato in caso di eventi tragici come i suicidi in carcere.
In casi analoghi, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato lo Stato italiano per negligenza nelle misure di prevenzione del suicidio in carcere. Al contrario, per la famiglia di Sara Campanella non esiste alcuna via giudiziaria civile: con la morte del presunto colpevole, il procedimento penale si estingue ("mors rei") e i familiari non possono rivalersi né sul patrimonio dell'imputato - risultato inesistente - né su quello dei suoi parenti. L'unica opzione resta il fondo statale previsto dalla legge 122/2016 per le vittime di reati intenzionali violenti, che prevede un contributo massimo di 50.000 euro. Una cifra irrisoria, simbolica, che non compensa il dolore né le conseguenze economiche della perdita.
La legge 23 luglio 2003, n. 199 - "Disposizioni in favore delle vittime di reati intenzionali violenti" - istituisce un fondo pubblico destinato a garantire un sostegno economico alle vittime o ai loro familiari. Il provvedimento, recepito su impulso dell’Unione Europea, mira a offrire una forma di tutela nei casi in cui non sia possibile ottenere un risarcimento attraverso le vie civili. Il contributo, tuttavia, è limitato e prevede importi standardizzati: fino a 50.000 euro in caso di omicidio, e cifre minori per altri reati gravi come lesioni permanenti o violenza sessuale.
Il fondo è erogato dal Ministero dell’Interno attraverso la Prefettura competente per territorio, e può essere richiesto entro 60 giorni dalla definizione del procedimento penale. Tuttavia, la legge prevede requisiti restrittivi per l’accesso: la vittima non deve aver concorso nel reato, non deve aver ricevuto altre indennità e deve trovarsi in una condizione economica specifica. La vicenda di Sara Campanella evidenzia come, in assenza di una sentenza definitiva o di un processo avviato, anche questo strumento possa risultare inefficace o tardivo, rendendo ancora più amaro il bilancio per chi subisce una perdita irreparabile.