Deturpata la lapide della piccola Diana Pifferi
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La donna ai periti: "La mia mente si era disconnessa". Gli esperti confermano le conclusioni del processo di primo grado
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Alessia Pifferi era pienamente capace di intendere e volere quando lasciò morire di stenti la figlia Diana. Lo stabilisce la perizia psichiatrica disposta nel processo di secondo grado a Milano a carico della donna, condannata all'ergastolo per omicidio volontario aggravato in primo grado. La piccola di un anno e mezzo morì nel luglio 2022 dopo essere stata lasciata sola in casa per sei giorni. Il nuovo accertamento è stato disposto, su istanza della difesa, dalla Corte d'assise d'appello.
Il primo commento della famiglia "è di soddisfazione, perché è stato riconosciuto non solo quello che era stato già accertato in primo grado. Ma anche ciò che era stato sempre sostenuto. Ossia che si tratta di una persona assolutamente consapevole delle proprie azioni, non affetta da alcun disturbo, ma soltanto presuntuosa e arrogante nel comportamento di tutti i giorni". Lo ha spiegato l'avvocato Emanuele De Mitri, legale della zia e della nonna di Diana Pifferi, dopo l'esito della perizia su Alessia.
"La mia mente si era disconnessa". È con queste parole che Alessia Pifferi ha provato a spiegare ai periti il fatto di aver abbandonato la figlia in casa per sei giorni. Secondo gli esperti, questa "presunta disconnessione" non configura però alcun vizio di mente. La donna è stata infatti giudicata in grado di "pianificare le azioni, di prevedere rapporti causa-effetto". Era consapevole e comprendeva le "potenziali conseguenze dell'abbandono della bambina" e, dunque, le sofferenze che avrebbe patito. La presunta "disconnessione", si legge nel documento, "riguarda il suo essere madre". Tra l'altro, la donna ha mantenuto "un ricordo dettagliato e molto partecipato sul piano affettivo di tutta la vicenda". Nel corso dei colloqui, agli atti della perizia, Pifferi ha raccontato pure che ancora "le capita di vivere momenti in cui la sua mente si disconnette, ma non è in grado di spiegare come e perché avvengano". Negli atti vengono riportate anche altre frasi dell'imputata: "Se solo mia madre, mia sorella e il padre della bambina mi fossero stati davvero vicini, tutto questo non sarebbe accaduto".
I giudici avevano chiesto agli esperti di accertare se la 40enne fosse "affetta da patologie psichiatriche" e "alterazioni clinicamente significative della sfera cognitiva", tali da avere "interferito sulla capacità di intendere e di volere escludendola del tutto o scemandola gravemente" al momento dei fatti e nelle due occasioni precedenti in cui la bimba è stata lasciata sola in casa, sopravvivendo, dal 2 al 4 luglio e dall'8 all'11 luglio del 2022.
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La perizia, durata sei mesi in carcere a Vigevano con una proroga di 90 giorni a giugno, ha confermato le conclusioni del processo di primo grado in cui Pifferi è stata condannata all'ergastolo. Sarà discussa in aula all'udienza del 24 settembre con la sostituta pg di Milano, Lucilla Tontodonati, che per la pubblica accusa ha nominato come consulenti le dottoresse Patrizia De Losa e Valentina Crespi, la difesa dell'imputata con l'avvocata Alessia Pontenani e per la parte civile (madre e sorella di Pifferi) il legale Emanuele De Mitri.
L'accertamento psichiatrico è stato riassunto dai periti in un documento di migliaia di pagine, in cui sono riportati integralmente i colloqui avvenuti in cella con Pifferi e i test a cui è stata sottoposta la donna. Le conclusioni dei periti in una trentina di pagine, già depositate, hanno accertato la piena capacità di intendere e di volere della 40enne nel momento in cui lasciava morire di stenti la figlia.
Gli esperti, che hanno analizzato anche la documentazione scolastica e sanitaria di Pifferi in età pre-adolescenziale, avrebbero rilevato un "disturbo" in età infantile, che però non avrebbe inciso in alcun modo sulla piena capacità cognitiva circa 25 anni dopo.
Gli esiti della perizia potrebbero impattare indirettamente anche sul "caso Pifferi bis", che vede imputati di falso e favoreggiamento personale la legale della donna, il suo consulente di parte e alcune psicologhe del carcere San Vittore. Sono tutti accusati in concorso di aver manipolato documenti e un "test di Wais" per far risultare un quoziente intellettivo di 40, come quello di una bambina di 6 anni, per evitarle una condanna all'ergastolo. La richiesta di rinvio a giudizio del pm Francesco De Tommasi pende davanti al gup Roberto Crepaldi. L'udienza è fissata per l'11 settembre e sono previsti gli interrogatori degli imputati.