Speciale La strage in famiglia a Paderno Dugnano: arrestato il figlio 17enne
La motivazione del tribunale

Strage a Paderno Dugnano, i giudici: "Voleva raggiungere l'immortalità"

Il 17enne, all'epoca dei fatti, nel 2024 sterminò la famiglia, padre, madre e fratello, con oltre 100 coltellate, dopo che tutti erano andati a letto, finita la festa di compleanno del padre

29 Set 2025 - 12:17
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Il tribunale per i minorenni ha motivato la condanna a 20 anni per Riccardo Chiarioni, che nel 2024, a 17 anni, a Paderno Dugnano (Milano), uccise padre, madre e fratello di 12 anni. Era "guidato da un pensiero stravagante" e "bizzarro" di raggiungere "l'immortalità attraverso l'eliminazione della propria famiglia". Tanto che ha "distinto la realtà dall'immaginazione" e "ha lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima, durante e doро". Il giudice non ha riconosciuto il vizio parziale di mente accertato dai periti.

Strage senza vero movente

  Nelle 51 pagine di motivazioni, firmate dal giudice Paola Ghezzi, viene ricostruita - anche con dichiarazioni e interrogatori del ragazzo, che ora ha quasi 19 anni, e con testimonianze di altri suoi familiari - la strage avvenuta nella villetta di quella che tutti ritenevano, come si legge, una "famiglia normale", una strage rimasta senza un vero movente.

"Vita tra realtà e fantasia"

  Lo psichiatra Franco Martelli nella perizia ha scritto che il ragazzo viveva tra realtà e "fantasia", che voleva rifugiarsi in un mondo fantastico, che lui chiamava della "immortalità", e per raggiungerlo nella sua mente era convinto di doversi liberare di tutti gli affetti. Il giudice nella sentenza evidenzia il fatto che il perito ha dato conto di "aspetti personologici disfunzionali quali un elevato grado di alessitimia (l'incapacità di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, ndr)" e della "divisione psichica della personalità" e "persistenza della fantasia-progetto".

Strage familiare a Paderno Dugnano

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"Rabbia e odio narcisistici accumulati a ogni frustrazione"

 Tuttavia, scrive, "dall'esame del funzionamento mentale di Riccardo operato attraverso la descrizione delle sue condotte poste in essere durante la commissione dei fatti e anche successivamente, non si ravvede alcuna evidenza di una condizione psichica di instabilità e di ingovernabilità". E, "certamente - si legge ancora - nell'evenienza criminale debbono aver avuto peso potenti stati emotivi, una grossa dose di rabbia odio narcisistici, accumulati a ogni frustrazione, che hanno fatto sì che l'atto si compisse con cotanta aggressività espressa". Per il giudice, "lo si desume dalle modalità particolarmente spietate dell'esecuzione: per quanto si possa essere inesperti nell'uccidere, un tale accanimento e varietà delle lesioni (soprattutto nei confronti del fratello e della madre) non può non avere come 'benzina' tali sentimenti".

Ad ogni modo, il 17enne, stando alla sentenza, "ha mantenuto lo stesso livello di organizzazione mentale durante le diverse fasi del delitto, non apparendo in alcun momento dissociato o soggetto ad alcuno scompenso rispetto alle sue intenzioni, che erano quelle di eliminare i familiari, secondo un piano ben organizzato, frutto dell'intelligenza di condotta dimostrata e applicata". 

"Manipolatore, scaltro e attratto dal nazismo"

 Un "manipolatore", che ha progettato gli omicidi "nei minimi dettagli", che ha manifestato "scaltrezza nel tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale", dopo aver già colpito il fratellino. E che ha agito in modo "sconcertante" colpendo tutti e tre in "modo cruento", infliggendo loro "numerosissime coltellate, infierendo sui loro corpi esanimi e anche colpendo alle spalle il padre, dopo aver dato l'impressione di volersi fermare successivamente all'aggressione al fratello e alla madre".

Il 17enne nel 2024 sterminò la famiglia, padre, madre e fratello, con oltre 100 coltellate, dopo che tutti erano andati a letto, finita la festa di compleanno del padre. Pur applicando la "diminuente della minore età e le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza su tutte le circostanze aggravanti", tra cui la premeditazione, il giudice ha applicato per il giovane la pena massima in abbreviato di 20 anni, non riconoscendo il vizio parziale di mente.

Nella sentenza si mette in luce anche "la condotta tenuta immediatamente dopo il delitto orientata a eludere le investigazioni per garantirsi l'impunità: dapprima il piano prevedeva di far ricadere la colpa sulla madre, poi sul padre e infine su di sé, ma soltanto dopo aver avuto la certezza, attraverso il nonno, che gli investigatori non avessero creduto alla versione fornita in prima battuta ai soccorritori".

Le foto del Mein Kampf

  Il giudice ricorda anche, come era già emerso, che dall'analisi dei dispositivi del ragazzo erano emerse immagini, come la foto del Mein Kampf, o "esternazioni di pensiero comprovanti la sua inclinazione verso l'ideologia fascista, nazista e omofoba". 

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