Ferite ancora aperte

Militare italiano internato nel 1943, la Germania condannata a risarcire gli eredi

Il tribunale civile di Roma ha riconosciuto la violazione del diritto internazionale durante il periodo di prigionia del soldato

27 Nov 2025 - 17:12
 © Ansa

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Il tribunale civile di Roma ha riconosciuto un risarcimento di 82.318 euro ai figli di un militare italiano catturato dopo l’Armistizio e sottoposto a una prolungata detenzione nei campi di concentramento del Terzo Reich. Dino Pozzato, appartenente al 12/o reggimento fanteria, venne fatto prigioniero in Albania il 12 settembre 1943 e costretto ai lavori forzati in un sottocampo di Mauthausen, per poi essere trasferito allo Stalag XVII e successivamente a Holzhausen, fino al rimpatrio del 5 giugno 1945.

La classificazione degli Imi e la privazione delle tutele internazionali

 Per la giudice Assunta Canonaco, un elemento decisivo è la scelta del regime nazista di classificare i militari italiani come Imi (internati militari italiani, italienische militarinternierte), categoria distinta dai prigionieri di guerra e utilizzata per escluderli dalle garanzie previste dalle convenzioni internazionali. Secondo il tribunale, questa sottrazione di tutele rappresenta una prova della condizione di vulnerabilità imposta agli internati.

Violazioni delle convenzioni e condizioni assimilabili alla schiavitù

 Nel caso esaminato, è stato inoltre accertato il mancato rispetto delle norme internazionali e l’imposizione di condizioni riconducibili a una sostanziale schiavitù. La sentenza richiama anche il recente riconoscimento istituzionale della condizione degli internati militari da parte dello Stato italiano, che ha istituito con una legge del 2025 una giornata dedicata fissata il 20 settembre. Il provvedimento definisce “storicamente acquisita” la circostanza che il trattamento riservato agli internati presentasse caratteri disumani, tali da portare gli studiosi a identificarli come “schiavi militari”.

Il riconoscimento del danno e le conseguenze sulla vita del militare

 Sulla base di questi elementi, la vicenda è stata qualificata come crimine di guerra, con il riconoscimento del danno non patrimoniale per le sofferenze fisiche e morali subite dal militare dal momento della cattura alla liberazione. Dino Pozzato, originario del Rodigino, non si è mai ripreso dalle conseguenze della prigionia e nel 1982 si tolse la vita.

Le parole dell’avvocato Anselmo

 I familiari sono stati assistiti dall’avvocato Fabio Anselmo. “È una vicenda drammatica che ha devastato una famiglia, come tante altre. Sono soddisfatto per questa sentenza - afferma il legale - in questo contesto storico e sociale è estremamente significativo, non solo sul piano giudiziario, che ci possano essere condanne che riconoscano un crimine di guerra”.

Il quadro giuridico internazionale

 Nel diritto internazionale, le condotte riconducibili a trattamenti inumani, schiavitù o deportazione rientrano nelle violazioni previste dalle Convenzioni di Ginevra e dallo Statuto della Corte penale internazionale (CPI). Le gravi infrazioni alle norme sulla protezione dei prigionieri di guerra sono indicate nella Terza Convenzione di Ginevra del 1949, che all’articolo 13 impone il rispetto della persona del detenuto e ne vieta qualsiasi forma di violenza, mentre l’articolo 14 tutela l’onore e la dignità del prigioniero. L’obbligo di non sottoporre i detenuti a coercizioni fisiche o morali è sancito anche dall’articolo 17, che vieta maltrattamenti e intimidazioni durante la detenzione o l’interrogatorio.

A livello penale internazionale, la definizione di crimine di guerra è contenuta nell’articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, che qualifica come tali gli atti commessi contro persone protette, tra cui trattamenti crudeli, deportazione illegale o riduzione in schiavitù. I crimini contro l’umanità sono invece elencati nell’articolo 7 dello stesso Statuto, che comprende la riduzione in schiavitù, la persecuzione e gli atti disumani diretti contro una popolazione civile nell’ambito di un attacco esteso o sistematico.

Queste norme rappresentano oggi il riferimento centrale per la qualificazione giuridica di condotte che violano le tutele fondamentali dei prigionieri e dei civili durante i conflitti armati.

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