Le motivazioni

Condannata per l'incidente in cui morirono figlia, sorella e nipote: "Aveva lo spazio per frenare"

La sentenza del giudice Massimo Rigon afferma che l'automobilista avrebbe potuto rallentare evitando lo scontro fatale con il tir. La dinamica ricostruita è dettagliata nelle motivazioni depositate

29 Lug 2025 - 18:47
Da sinistra Ginevra Barra Bajetto, Graziella Lorenzatti, Gioia Casciani e Monica Lorenzatti © Ansa

Da sinistra Ginevra Barra Bajetto, Graziella Lorenzatti, Gioia Casciani e Monica Lorenzatti © Ansa

Nel marzo scorso il tribunale di Trento ha condannato a due anni di reclusione, con pena sospesa, Monica Lorenzatti e il camionista Alberto Marchetti per l'incidente avvenuto nel 2017 sull'A22, in cui persero la vita tre persone, tra cui la figlia e la nipote della donna. Oggi sono state depositate le motivazioni della sentenza: secondo il giudice Massimo Rigon, la conducente dell'auto avrebbe avuto spazio e tempo per evitare l'impatto, mentre il camionista è ritenuto responsabile di una frenata improvvisa e immotivata.

La dinamica dello schianto sull'A22

 Il 27 ottobre 2017, sull'autostrada del Brennero all'altezza di Mattarello (Trento), un tamponamento tra un tir e una Ford Focus ha provocato la morte di tre persone: la figlia di 9 anni, la nipote di 17 e la sorella gemella della conducente, Monica Lorenzatti. Solo quest'ultima è sopravvissuta. Le quattro donne stavano tornando a Torino dopo aver partecipato alla manifestazione di pattinaggio artistico "Coppa dell'Amicizia", a Merano. Le vittime, Gioia Virginia Casciani e Ginevra Barra Bajetto, erano entrambe giovani promesse del pattinaggio. L'impatto con il tir, che aveva rallentato bruscamente, fu violento e devastante.

La terza vittima a distanza di mesi

 Graziella Lorenzatti, sorella gemella della conducente., non è però morta sul colpo come le ragazze. Al momento dello schianto era sopravvissuta, ma le sue condizioni erano apparse subito gravissime. Rimase ricoverata per mesi in ospedale, tra operazioni, terapie intensive e un lento declino. La sua battaglia si concluse nel silenzio, venti mesi dopo l'incidente, quando morì per le complicazioni legate ai traumi subiti. La sua scomparsa ha reso ancor più drammatico il bilancio di quella giornata: tre vite spezzate, tre generazioni colpite. La morte di Graziella ha avuto un peso anche nel processo: sebbene non fosse deceduta sul colpo, le perizie mediche hanno stabilito un nesso diretto tra l'impatto e il peggioramento progressivo delle sue condizioni. Per questo è stata inserita tra le vittime dell'imputazione di omicidio colposo. 

Frenata "imprudente" del tir

 Secondo le motivazioni della sentenza, il camionista Alberto Marchetti ha effettuato una frenata "ingiustificata e imprudente". Il mezzo pesante è passato da 90 a 7 chilometri orari in soli cinque secondi, in un tratto autostradale rettilineo e senza ostacoli. Un rallentamento considerato anomalo e potenzialmente pericoloso dal giudice Rigon. La manovra del camionista non è stata supportata da alcuna necessità immediata: né traffico, né ostacoli improvvisi. Una decisione improvvisa che ha creato una situazione di pericolo sulla corsia di marcia. Tuttavia, la responsabilità non è stata attribuita solo a Marchetti.

L'auto aveva 70 metri per poter frenare

 Il giudice ha stabilito che Monica Lorenzatti aveva almeno 70 metri di spazio per rallentare e reagire al rallentamento del tir. Una distanza ritenuta sufficiente dai consulenti per evitare l'impatto o ridurne la violenza. La donna, secondo la Corte, viaggiava a circa 90 km/h a una distanza iniziale di circa 30 metri dal camion. Le motivazioni precisano che le luci di stop del tir erano accese e funzionanti, a dispetto della tesi difensiva secondo cui la manovra non sarebbe stata visibile. Anche l'opzione di cambio corsia non sarebbe stata sfruttata, nonostante la possibilità tecnica di farlo. Gli avvocati della donna – Claudio Tasin, Karol Pescosta e Marco Rossi – hanno già annunciato ricorso in appello, sostenendo che la frenata improvvisa sia stata l'unica vera causa del disastro.

Luci e barra paraincastro: nessuna prova

 La difesa di Monica Lorenzatti ha ipotizzato anche il malfunzionamento dei dispositivi di segnalazione del camion. In particolare, si è parlato di stop non funzionanti e di una barra paraincastro montata in modo irregolare. Tuttavia, le indagini tecniche non hanno confermato queste ipotesi. Il giudice ha stabilito che non ci sono prove di difetti nei dispositivi: la barra paraincastro era regolare e le luci di frenata risultavano attive. Elementi che hanno pesato nella valutazione della condotta di Lorenzatti come contributiva all'incidente.

Le ragazze non avevano le cinture allacciate

 Le due ragazze sedute sui sedili posteriori non indossavano le cinture di sicurezza. Un dettaglio che ha avuto un peso rilevante nel processo. I periti hanno affermato che l'abitacolo non ha subito deformazioni tali da compromettere l'integrità dei sedili. Secondo gli esperti, se Gioia e Ginevra avessero avuto le cinture allacciate, avrebbero avuto maggiori probabilità di sopravvivere. Un'ulteriore tragedia nella tragedia, che sottolinea ancora una volta l'importanza delle norme di sicurezza anche per i passeggeri posteriori.

Le condanne (sospese) e i risarcimenti civili

 Il giudice ha condannato entrambi gli imputati a due anni di reclusione con sospensione condizionale della pena. È stata inoltre disposta la sospensione della patente di guida per sei mesi per Monica Lorenzatti. Entrambi restano in libertà, ma dovranno affrontare l'appello. Dal punto di vista civile, le famiglie delle vittime hanno ricevuto un risarcimento complessivo di oltre 1,4 milioni di euro. A Monica Lorenzatti è stato riconosciuto un risarcimento di 250.000 euro per la morte della figlia, e ulteriori 15.000 euro circa sono andati a ciascun parente stretto, per un totale di circa 325.000 euro. Entrambe le difese hanno annunciato ricorso. Ma la sentenza di primo grado lascia un segno: errori e mancate reazioni, in una manciata di secondi, possono avere conseguenze irreversibili.

Le cuginette erano due promesse del pattinaggio

 Gioia Virginia Casciani e Ginevra Barra Bajetto non erano solo due cugine legate da un forte affetto familiare: erano anche due giovani promesse del pattinaggio artistico. Gioia, appena 9 anni, aveva già collezionato le prime medaglie nelle competizioni regionali. Ginevra, 17 anni, si era affermata come una delle atlete più promettenti della sua categoria, con una tecnica elegante e una presenza scenica che la rendevano riconoscibile in pista. Entrambe erano rientrate a casa dopo aver partecipato alla "Coppa dell'Amicizia" a Merano, una manifestazione sportiva che riunisce centinaia di atleti da tutta Italia. Erano felici, entusiaste per le loro esibizioni. Nessuno avrebbe immaginato che quel viaggio, intrapreso con le madri, si sarebbe trasformato nel loro ultimo. La loro perdita ha colpito profondamente l'ambiente sportivo piemontese, dove allenatori e compagne di squadra ancora oggi le ricordano con affetto e dolore.

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