"'Giornalista pericolosa'. È un'etichetta che non pensavo mi si potesse attribuire, quando ho accettato di raccontare l'avventura verso Gaza. Ma è ciò che è successo e che ha comportato la mia espulsione dalla missione", ha scritto
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Una giornalista de "La Stampa", Francesca Del Vecchio, che avrebbe dovuto raccontare la spedizione verso Gaza Global Sumud Flotilla partecipandovi in prima persona, ha raccontato di essere stata espulsa dalla missione. Lo ha fatto tramite un articolo pubblicato sul suo giornale. "'Giornalista pericolosa'. È un'etichetta che non pensavo mi si potesse attribuire, quando ho accettato di raccontare l'avventura della Global Sumud Flotilla verso Gaza. Ma è ciò che è successo e che ha comportato la mia espulsione dalla missione. Speravo di poter fare quello che la mia professione comporta: osservare e riferire. Senza addomesticare. Né farsi addomesticare. Non è stato possibile. Eppure, per me resta chiaro che quanto è successo non scalfisce la bontà della missione, l'intento umanitario", ha scritto Del Vecchio.
La giornalista ha ripercorso le tappe della vicenda, a partire da quando, ad agosto, è stata "invitata da un'attivista, conosciuta mesi prima, a partecipare come giornalista alla spedizione verso Gaza. Ne parlo con la portavoce italiana, Maria Elena Delia, che mi dice: 'Ne saremmo felici'. L'obiettivo è raccontare la missione, luci e ombre". Ha poi raccontato di essere arrivata a Catania, "luogo di partenza della spedizione italiana e del training per i partecipanti".
"All'arrivo nel luogo del training, viene chiesto a tutti di consegnare i cellulari. Nei giorni successivi verrà chiesto anche di lasciarsi perquisire. Motivi di sicurezza, dicono. Il corso, tuttavia, non inizierà prima di un'ora e mezza e chiedo se sia possibile mettersi a scrivere restando fuori ed entrando al termine del lavoro. La risposta è no. Quando il corso comincia, dentro ci sono altri giornalisti (estranei agli equipaggi) con tanto di macchine fotografiche e telecamere. Al termine della sessione - che comprende la simulazione di un abbordaggio e di un arresto - chiedo se ci siano contrarietà al fatto di scriverne. Mi viene detto di no, purché non entri nei dettagli. È accettabile. È la cronaca del primo giorno, con qualche vago riferimento di contesto", ha spiegato Del Vecchio.
"Il diario che scrivo dei giorni successivi è meno denso: nessuno vuole o può parlare, nessuno può avvicinarsi alle imbarcazioni, nemmeno accompagnato. La sfiducia è palpabile. L'unica cosa che si possa riportare sono i requisiti per la convivenza in barca. Nel frattempo, la partenza viene rimandata. Chiedo di assistere a un turno di sorveglianza notturna alla flotta, con la promessa di scriverne solo dopo la partenza, una volta cessate le ragioni di sicurezza. Dopo un sì poco convinto, si passa alla latitanza: nessuno risponde più", ha aggiunto.
La giornalista ha poi spiegato di essere stata rimossa dalle chat di gruppo. "Dopo qualche insistenza, mi chiama un membro del 'Direttivo', Simone. Mi comunica la decisione di mandarmi via per aver rivelato 'informazioni sensibili' che avrebbero potuto minare la sicurezza della missione. Sono incredula. Ottengo di riparlarne a voce con Maria Elena Delia, il giorno dopo. Spiego le esigenze della mia professione. Mi dico consapevole che occorra cautela, ma insisto anche sul fatto che si deve trovare una sintesi. Concordiamo che, da quel momento in poi, ci sarà più dialogo. Penso che la crisi sia rientrata e mi avvio alla prima esercitazione in mare".
Invece, "poco dopo, mi rincorre un altro attivista, Giuliano. Con lui c'è Simone e una ragazza del Direttivo che non si presenta e dice: 'Non possiamo fidarci di te'. I toni sono accesi. 'Sei una giornalista pericolosa, hai detto al mondo dove si tiene il nostro corso'. Le sfugge un dettaglio: il luogo del training era noto a molti esterni all'organizzazione, a colleghi, a fotografi. Provo a spiegare, ancora, il valore del racconto giornalistico. Ma hanno già preso la loro decisione. 'Sei pericolosa. Il tuo giornale ci ricopre tutti i giorni di m***a'. Ecco il punto. Capisco che potrei parlare per ore: non otterrei nulla. Mi restituiscono il passaporto - ritirato, come farebbe un organo di polizia -, mi cacciano letteralmente fuori dal porto, informandomi che non avrei potuto prendere l'autobus di ritorno insieme con gli altri".
Del Vecchio ha concluso il suo racconto dicendo di aver passato "tutta la sera a fare autocritica. Rileggo i miei pezzi. Inizio a convincermi che la questione è solo una: il mio lavoro è stato considerato 'non allineato'".