Troppe code, troppe attese, troppi ostacoli burocratici. Sono addirittura "oscuri", secondo un magistrato, i criteri con cui l'ufficio sceglie di ricevere tra le persone in attesa.
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Il ministero dell'Interno ricorrerà in appello contro la sentenza con cui il tribunale di Torino ha dichiarato "discriminatorie" le modalità con cui la questura del capoluogo piemontese gestisce le pratiche per gli stranieri che intendono chiedere la protezione internazionale. Un giudice ha infatti dato ragione a 18 migranti che hanno presentato un ricorso tramite i loro avvocati e i rappresentanti dell'associazione Asgi. Troppe code, troppe attese, troppi ostacoli burocratici. Sono addirittura "oscuri", secondo il magistrato, i criteri con cui l'ufficio sceglie di ricevere tra le persone in attesa.
La questura però replica: "Rispetto al passato sono attive procedure che consentono percorsi facilitati per la presentazione delle istanze e la situazione complessiva è in costante miglioramento. Gli stessi 18 ricorrenti sono stati tutti già ricevuti presso l'Ufficio Immigrazione e hanno potuto inoltrare la domanda".
La questione, in base a quanto si legge nelle 29 pagine della sentenza, è di respiro locale e non nazionale. Il giudice, infatti, ha individuato un luogo dove le cose funzionano meglio: la questura di Milano. E' quello il modello che l'amministrazione dovrà seguire per rimettersi a posto: e ha quattro mesi di tempo. In passato le pratiche venivano gestite in una sede decentrata, in corso Verona. Ma la cronaca restituiva un quadro sconfortante: locali fatiscenti, personale cortese ed efficiente ma ridotto all'osso, cittadini costretti a restare in fila per giorni sotto il sole o sotto la pioggia, bivacchi notturni, acqua e cibo distribuiti da volontari, polemiche, rimpalli di responsabilità.
Lo scorso marzo corso Verona è stata abbandonata e sono state messe in campo nuove soluzioni. Evidentemente però, secondo il giudice, non bastano. Dalla questura di Torino snocciolano numeri su numeri per dimostrare che i miglioramenti ci sono: un esempio sono i 48.919 permessi di soggiorno emessi fra il primo gennaio e il 31 luglio, circa 9.000 in più rispetto all'anno scorso. Ma è dalla questura di Milano che bisognerà prendere spunto.