L'intervista

Morta dopo liposuzione a Roma, un'altra paziente di Picciotti: "Disse no al mio ricovero, ho pagato 10mila euro"

Il racconto di Emini Gercaliu: "Stavo per morire, ma non voleva portarmi in ospedale. La causa? Vinta, ma lui risulta nullatenente". Nello studio medico mancava anche il defibrillatore. Si indaga sul personale dell'ambulanza privata

11 Giu 2025 - 19:18

Non è la prima volta che Josè Lizàrraga Picciotti, il chirurgo finito nella bufera dopo la morte di una 46enne a seguito delle conseguenze di una liposuzione da lui eseguita, ha avuto problemi post operatori. A riportare ancora le cicatrici fisiche e psicologiche un'altra paziente, della stessa età di Ana Sergia Alcivar Chenche, morta domenica in ospedale a Roma: Emini Gercaliu, albanese di 46 anni, ha raccontato in un'intervista a "La Repubblica" la sua via crucis. "Io sono salva per miracolo. Quell'uomo mi operò, io stavo male ma lui disse no al ricovero. Ho rischiato di non farcela, mi ha portato via 10mila euro. Ho pianto leggendo che una donna di 46 anni è morta dopo una liposuzione. Potevo essere io. Avevamo la stessa età. Lo stesso intervento. Lo stesso medico: Josè Lizàrraga Picciotti".

"Io miracolata"

 "Io sono stata miracolata. I medici mi hanno tirata per i capelli. Avevo un'emorragia e una setticemia acuta. E Lizàrraga non voleva portarmi in ospedale. Temeva le conseguenze". La donna ha ottenuto giustizia, in sede penale e civile, grazie all'avvocato Antonello Riccio, che l'ha accompagnata in anni di battaglie durissime.

La sua vittoria solo simbolica, lui risulta nullatenente

 "Non ho visto un euro. Non ha nulla intestato. In primo grado lo hanno condannato a quattro mesi (prescritti in Appello) e a un risarcimento di 200mila euro, io invece ho speso tantissimi soldi in questi anni di processi", ha raccontato la donna.

Gli interventi estetici più richiesti: l'infografica

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La vicenda

 "Era l'inizio del 2006. Avevo preso qualche chilo. Su consiglio di un'amica, lo contatto - ha quindi continuato -. Mi propone una addominoplastica: 5mila euro. Va tutto bene. Poi mi parla della liposuzione, altri 5mila. Accetto. Mi viene a prendere alla stazione Termini. Mi porta in un ambulatorio in via Firenze. L'intervento dura un'ora. Avrei dovuto andarmene subito dopo. Appena finisce, ho la febbre a 41. Esce liquido e sangue dalle ferite".

"Non voleva portarmi in ospedale, stavo malissimo"

 "Mi fa restare lì, una notte. Ma peggioro: vomito, febbre altissima, sto malissimo. Ero in stato di semincoscienza. Non riuscivo a parlare bene. Non capivo. Perdevo liquidi dai fori della liposuzione. L'ambulatorio doveva essere liberato. Mi porta in un istituto di suore. Passo lì la notte, peggiorando ancora. Mi porta a casa sua. Mi tiene lì quattro giorni. Io lo sento, disperato, parlare con la moglie: ha paura che io muoia".

L'arrivo al Pronto soccorso del San Filippo Neri

 È a quel punto che la donna inizia a supplicarlo: "Lo supplico. Ma sperano che mi riprenda. E invece mi stavo spegnendo. Alla fine Lizàrraga crolla. Mi porta, piangendo, al pronto soccorso del San Filippo Neri. Scongiura i medici: 'Fate qualcosa, sta morendo'". "Mi operano. Ho un'anemia acuta, setticemia diffusa, pus, emoglobina crollata. Ero gonfia, viola come una melanzana. Ma mi salvo, ringrazio Dio. Non era la mia ora - ha aggiunto -. Ma lui deve pagare per me e per quella povera signora".

Nello studio medico mancava il defibrillatore

 Intanto gli inquirenti hanno accertato che, nell'appartamento del quartiere Primavalle trasformato in studio medico, non era presente alcuno strumento di primo intervento, a cominciare dal defibrillatore. Inoltre non è stata trovata neanche alcuna cartella clinica della paziente né un archivio delle attività svolte su altri pazienti.

Si indaga sul personale dell'ambulanza privata che portò la donna all'Umberto I

 Si indaga inoltre sulla posizione del personale sanitario a bordo, arrivato nell'ambulatorio abusivo in zona Torrevecchia a Roma, con un'ambulanza privata, chiamata dal titolare del centro diverse ore dopo la vittima aveva accusato il malore. Le indagini si stanno concentrando su chi ha dato indicazioni in merito al trasporto della paziente al Policlinico Umberto I. Rispetto a dove si trova l'ambulatorio abusivo, dove la donna si era sottoposta all'intervento, c'erano ospedali più vicini che sarebbero stati raggiunti più rapidamente senza perdere altro tempo, vitale per la donna già agonizzante. Nessuno dei presenti inoltre avrebbe chiamato il 118 o l'ospedale Umberto I per avvertire dell'arrivo del mezzo con a bordo una paziente in fin di vita. La loro posizione è al vaglio anche della Procura della Repubblica di Roma, che potrebbe iscriverli sul registro degli indagati. 

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