Il muratore di Mapello continua a dichiarare la propria innocenza ma non sa spiegare la presenza del suo Dna negli indumenti della vittima
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A 15 anni dalla morte di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa a Brembate di Sopra nel 2010 e trovata morta tre mesi dopo in un campo di Chignolo d'Isola, Massimo Bossetti torna a parlare in tv. Condannato all'ergastolo per l'omicidio della ragazza, si è raccontato a Francesca Fagnani in un'intervista a Belve Crime. Con voce ferma ma carica di tensione, Bossetti ha ribadito l'innocenza che proclama fin dal primo giorno: "Non sono un assassino. Non ho mai visto Yara, è tutto assurdo". Parole forti, pronunciate davanti alle telecamere, che riaccendono il dibattito su uno dei casi di cronaca più discussi degli ultimi anni.
Durante l'intervista, Bossetti contesta ancora una volta la prova genetica che lo ha incastrato: "Vorrei capire anch'io come il mio Dna sia finito lì. È tutto assurdo". Il riferimento è al materiale genetico ritrovato su slip e leggings della ragazza: da anni la difesa sostiene ipotesi di contaminazione o errori nei test. L'uomo aggiunge: "Che tipo di aggancio poteva avere un uomo di 40 anni con una bambina di 13 anni?".
Da undici anni in carcere, Bossetti ha parlato anche della condizione psicologica vissuta in prigione: "Sopravvivo all'ingiustizia. Mi sento addosso l'etichetta del mostro, un tatuaggio stampato sulla testa che porterò fino alla fine dei miei giorni." In passato ha rivelato anche tentativi di suicidio e crisi profonde. Ma oggi afferma: "La rabbia si è trasformata in forza, anche grazie all'amore dei miei cari".
Il profilo genetico ribattezzato "Ignoto 1" fu il perno dell'indagine sul delitto di Yara. Il Dna fu trovato su slip e leggings della ragazza. Attraverso un'imponente raccolta di campioni tra migliaia di uomini, si arrivò a Massimo Bossetti, identificato come figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni. La corrispondenza tra "Ignoto 1" e il Dna di Bossetti fu giudicata inequivocabile. Tuttavia, la difesa ha sempre sollevato dubbi sull'attendibilità della prova, sottolineando l'assenza di Dna mitocondriale compatibile e una possibile contaminazione. Il caso ha visto anche un ricorso in Cassazione per ottenere nuovi accertamenti sui reperti biologici.
Nel 2024 Netflix ha trasmesso la docuserie Il caso Yara. Oltre ogni ragionevole dubbio, riportando alla ribalta i punti controversi del processo. Il racconto ha messo in luce presunte criticità nelle analisi del dna e nella gestione delle indagini. La difesa ha ottenuto per la prima volta l'accesso ai reperti del caso, sollevando dubbi tecnici sulle analisi.