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Strage Mottarone, Cassazione: direttore e titolare consapevoli dei problemi funivia

Perocchio e Nerini sapevano che, "senza un radicale intervento di manutenzione, l'impianto funzionava con il freno di emergenza disinserito". E' quanto attesta una "mole di convergenti emergenze istruttorie"

Strage Mottarone, Cassazione: direttore e titolare consapevoli dei problemi funivia - foto 1
Ansa

Per la strage del Mottarone la Cassazione sottolinea, nella sua sentenza, che "c'è una mole di convergenti emergenze istruttorie che attestano che Enrico Perocchio (direttore della funivia) era pienamente consapevole al pari di Luigi Nerini (titolare della concessione)" dei problemi alla struttura.

I due sapevano che, in assenza di un radicale intervento di manutenzione, "la funivia avrebbe funzionato con il freno di emergenza disinserito". La decisione della Cassazione riguarda diverse sentenze del tribunale del riesame nei confronti dei due indagati. Nell'incidente morirono 14 persone.

 

"Incauto modus operandi" - Le informazioni emerse dalle istruttorie hanno dunque "espressamente avallato questo incauto modus operandi" dei due dirigenti e dall'altra parte hanno attestato "che i tragici fatti del 23 maggio 2021 hanno interessato una realtà aziendale che aveva già fatto i conti, in passato, con il conflitto tra le esigenze della sicurezza e quelle di natura economica", secondo quanto si legge nel verdetto della Cassazione. 

 

 

Pericolo di recidiva per Perocchio - Per Perocchio, per il quale sono stati disposti i domiciliari, è "solida" la motivazione con la quale il Riesame di Torino ha dichiarato attuale il "pericolo di recidiva" e "di reiterazione", sottolinea la Cassazione. Per il direttore della funivia e dipendente della Leitner, società della manutenzione dell'impianto crollato, la Suprema Corte ha ordinato al Riesame di valutare se "in vista della tutela delle persistenti esigenze cautelari" si possa applicare il solo divieto temporaneo ad esercitare la professione.

 

 

Rifiuto di acquisire la memoria difensiva di Nerini - Il rifiuto del Riesame di accogliere la memoria difensiva di Nerini, il titolare della concessione della funivia, in vista dell'udienza del 28 settembre 2021, ha determinato "la lesione dei diritti" dell’imputato e "la violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie". Per questa ragione strettamente "formale" e che non entra nel merito delle esigenze cautelari, la Cassazione, ha annullato l'ordinanza del Riesame che aveva disposto i domiciliari. 

 

 

Ragioni di convenienza economica - Quanto alla decisione di apporre i "forchettoni" alle funi per evitare che la funivia si fermasse per l'automatico azionarsi dell'azione frenante, la Cassazione sottolinea che "è conforme ai canoni di chiarezza e precisione" la costruzione "di una imputazione che si regge sul postulato secondo cui Perocchio, trovandosi in posizione sovraordinata nella scala gerarchica aziendale e avendo il potere, quale direttore di esercizio, di fornire al personale dipendente indicazioni sugli adempimenti da espletare per garantire la sicurezza dei lavoratori, avrebbe istigato, per ragioni di convenienza economica (in attuazione, cioè, di una nitida strategia aziendale, nella cui cornice si iscrive anche l'omessa annotazione sui registri delle frequenti e reiterate defaillances nel funzionamento dell'impianto), Tadini - dipendente delle ferrovie del Mottarone con funzioni di capo servizio - a disattivare il sistema frenante d'emergenza e, precipuamente, a omettere la rimozione del ceppo nell'orario di apertura della funivia al pubblico". 

 

 

La Suprema Corte dunque dimostra, in questi passaggi del verdetto, di condividere la ricostruzione dei fatti realizzata dalla Procura di Verbania e i capi di imputazione a carico di Perocchio e Nerini per "rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e per omicidio colposo plurimo". 

 

Memoria difensiva rifiutata, Cassazione: errore del Riesame - In merito alla vicenda sulla memoria difensiva rifiutata, secondo la Cassazione il Riesame "ha errato nel negarla perché redatta in modo tale da rendere indistinguibili le considerazioni afferenti, rispettivamente, agli elementi già considerati con l'atto di appello e quelli di più recente formazione". Per gli ermellini, la "produzione, da parte del pubblico ministero, di rilevantissima documentazione (anche di quella relativa ad attività compiute oltre tre mesi prima) a quattro giorni di distanza dall'udienza camerale" è "frutto di legittima e insindacabile strategia processuale" ma "ha posto gli indagati e le loro difese nella condizione di dover interloquire 'ad horas' o, comunque, a strettissimo giro" e questo "ragionevolmente, ha inciso sulle modalità di redazione delle memorie". 

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