La sentenza sarà comunque ancora oggetto di dibattimento in Tribunale a novembre. Previsto infatti un altro grado di giudizio, voluto dall'accusa per riconoscere le aggravanti di crudeltà e stalking
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"Sin dall'inizio del mio percorso giudiziario ho preso tutte le scelte possibili, affinché questo potesse portare più rapidamente e in modo trasparente e sincero alla sentenza, qualsiasi essa fosse". Inizia così la lettera, scritta a mano su un foglio A4, con cui, in data 10 ottobre, Filippo Turetta annuncia la volontà di rinunciare al ricorso in Appello presentato dai suoi legali, all'indomani della sentenza con la quale la Corte d'Assise di Venezia lo ha condannato all'ergastolo, per l'omicidio premeditato di Giulia Cecchettin. "In questo momento ho maturato la convinzione, spinto dai forti sensi di colpa che provo, di assumermi la piena responsabilità per quello che ho fatto di cui mi pento ogni giorno", si legge ancora.
Nella lettera protocollata nel carcere di Montorio e resa nota da Il Gazzettino e dai quotidiani Nem, Turetta scrive di essere "tristemente consapevole che comunque purtroppo in nessun modo essa possa pienamente rimediare ed eliminare il profondo dolore e sofferenza che ho causato con le mie gravissime azioni a Giulia e a tutti i suoi familiari e parenti, impedendole di vivere una piena e meravigliosa esistenza". "Sinceramente dal profondo del cuore, pensando a lei e a tutto questo, ho preso la scelta di rifiutare di affrontare i successivi gradi di giudizio e accettare la pena che ho ricevuto in primo grado", precisa.
Con questa lettera, Turetta dichiara quindi di accettare l'ergastolo, ma la sua sentenza sarà comunque ancora oggetto di dibattimento in Tribunale a novembre. La Procura di Venezia infatti intende dar seguito al procedimento affinché siano riconosciute le aggravanti di crudeltà e stalking, che la Corte d'Assise aveva escluso in primo grado, ritenendo Giulia capace di gestire le migliaia di messaggi, vocali, le richieste di vedersi che l'ex compagno continuava a chiederle e quelle 75 coltellate inferte da Turetta per ucciderla, ritenendole frutto più dell'incapacità materiale di uccidere, che di volontà di infierire. Per l'accusa, invece, i 20 minuti di agonia che ha sopportato la ragazza, legata e imbavagliata, con la coscienza di andare verso la morte rappresentano il motivo per chiedere che l'aggravante della crudeltà sia riconosciuta.