dopo 18 anni

Meredith Kercher, l'ex pm: "Non è stata fatta giustizia, un errore quell'interrogatorio ad Amanda"

L'ex magistrato: "Diversi fattori fortuiti cambiarono il processo, non ero sereno quando dovetti chiedere la pena".

01 Nov 2025 - 13:58

Sono passati diciotto anni dall’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa inglese trovata morta nel suo appartamento di via della Pergola, a Perugia, il 1° novembre 2007. Per il delitto è stato condannato in via definitiva Rudy Guede, mentre Amanda Knox e Raffaele Sollecito, inizialmente ritenuti complici, furono assolti. Ma per Giuliano Mignini, l’ex pubblico ministero che coordinò le indagini, la vicenda non può dirsi del tutto chiusa. Lo ha raccontato in un’intervista a La Stampa.

Mignini spiega che negli ultimi mesi è emerso un possibile nuovo nome, mai considerato prima, segnalato da una fonte ritenuta attendibile. Si tratterebbe di una persona che lasciò l’Italia pochi giorni dopo il delitto. L’ex magistrato ha trasmesso la segnalazione alla Procura di Perugia, che sta verificando la fondatezza delle informazioni. "Se avessi avuto questi elementi all’epoca – ha detto – le indagini avrebbero preso un’altra direzione", aggiungendo che molte persone, per anni, avrebbero taciuto per paura.

“Non ero sereno nel chiedere la pena”

 Nell'intervista, Mignini ha ricordato anche il rapporto umano con Amanda Knox. La definisce la persona che, tra gli imputati, ha conosciuto meglio, e ammette di non essere stato del tutto sereno nel momento in cui dovette chiedere la condanna. Da padre, confessa, si trovò in difficoltà davanti a una ragazza di appena vent’anni. Secondo il magistrato, la Knox mostrava diffidenza verso la polizia, in particolare verso la dirigente della sezione omicidi, con cui i rapporti sarebbero stati tesi perché "odiava Amanda". Oggi, dice Mignini, l’ex studentessa americana appare “più matura e compassionevole”, ma conserva un lato “narcisista”. Raffaele Sollecito, invece, “potrebbe provare una certa gelosia” per la notorietà di Amanda.

I fattori che cambiarono il processo

 Mignini torna poi su alcune questioni processuali. A suo giudizio, diversi fattori fortuiti giocarono a favore della Knox e di Sollecito. In particolare, la scelta del rito abbreviato per Rudy Guede “determinò l’incompatibilità del primo collegio giudicante”, obbligando a formarne uno nuovo e separato. Se così non fosse stato, "la condanna sarebbe stata certa" anche per la Knox e Sollecito. E sull’assoluzione finale dei due imputati, il magistrato parla di “una sentenza eccezionale”, richiamando l’annullamento senza rinvio deciso dalla Cassazione, “caso raro nella giurisprudenza italiana”. A suo avviso, “la presenza della Knox e quasi certamente di Sollecito” sulla scena del delitto resta accertata, anche se non fu mai chiarito quale ruolo abbiano avuto realmente. Guede, sottolinea, “non agì da solo”.

Pressioni mediatiche e pregiudizi

 Nell’intervista, Mignini descrive anche il clima che accompagnò il caso, segnato, secondo lui, da pregiudizi reciproci e forti pressioni internazionali. Gli italiani, dice, tendevano a giudicare l’americana come “una poco di buono”, gli inglesi avevano pregiudizi nei confronti di italiani e americani, e gli statunitensi li avevano sugli europei. L’ex pm racconta di essere stato definito “inquisitore” da parte della stampa americana e di aver ricevuto anche lettere di minaccia, alcune provenienti da un giudice dello Stato di Washington. Ricorda inoltre l’intervento del Dipartimento di Stato e le dichiarazioni di Donald Trump, che lo attaccò pubblicamente.

Interrogatori e prove controverse

 Tra gli errori giudiziari più significativi, Mignini indica la gestione dell’interrogatorio di Amanda Knox, durante il quale, spiega, non furono rispettate pienamente le garanzie di difesa, come il diritto a restare in silenzio o a farsi assistere da un legale. Il magistrato cita poi il gancetto del reggiseno di Meredith, considerato “una prova cruciale” contro Guede e Sollecito, ma analizzato, a suo avviso, “con troppa superficialità”. Critiche anche sulla valutazione dei testimoni: il clochard Antonio Curatolo, che affermò di aver visto i due giovani la notte del delitto, non venne ritenuto attendibile. E l’effrazione nella finestra dell’abitazione, sostiene Mignini, in realtà non c'era stata ma “era un tentativo di favorire qualcuno che stava nella casa, cioè Amanda Knox”.

“Una giustizia incompleta”

 A distanza di quasi due decenni, Mignini ammette di provare ancora un senso di incompiutezza: Ci furono "errori giudiziari, errori a favore degli imputati. Lo confesso, è una storia che a distanza di 18 anni non mi va giù: non c'è stata giustizia".

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