L’inviato di "Realpolitik" raccoglie le voci di chi oggi vive con paura e isolamento
© Da video
"Prima andavo con la papalina in sinagoga, adesso è impossibile. Si percepisce l’odio delle persone, quando ti guardano e ti vedono in testa la kippah". A parlare è uno degli ebrei intervistati dall’inviato di "Realpolitik", che ha raccolto diverse testimonianze di chi, oggi, vive in Italia con un crescente senso di paura e isolamento.
Tra smarrimento, rabbia e preoccupazione, molti raccontano di aver cambiato le proprie abitudini quotidiane dopo l’escalation del conflitto a Gaza, evitando segni riconoscibili della propria fede o frequentazioni che potrebbero esporli a episodi di intolleranza.
"Ritornando dal pranzo, un mio collaboratore mi ha detto che c’era disegnata davanti all'ufficio una svastica, indirizzata a noi", racconta un uomo di mezza età, la voce incrinata dall’incredulità. Poi aggiunge, con amarezza: "Un ebreo italiano non può essere responsabile per le decisioni di un governo che non ha votato".
La paura si intreccia con una stanchezza profonda, quella di chi sente di dover continuamente giustificare la propria identità. Un sentimento condiviso anche dalle generazioni più giovani, che pure sono nate e cresciute in Italia. "I miei nonni hanno tutti vissuto la Shoah. Vedere questo rigurgito di antisemitismo sicuramente li rattristerebbe molto", racconta una ragazza sui trent’anni. "La retorica e le azioni del governo israeliano, che utilizza spesso come scusa la difesa degli ebrei tutti, sicuramente non hanno aiutato".