La ragazza fu uccisa a coltellate a Milano, in un bagno dell'Università Cattolica, il 24 luglio 1971. La speranza di una svolta nelle indagini legata alla fotografia di un'impronta
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Un’impronta insanguinata sulla porta di un bagno dell’Università Cattolica di Milano, una foto scattata dagli investigatori nel 1971, e forse altri reperti ancora conservati da qualche parte. È quanto rimane del brutale omicidio di Simonetta Ferrero, giovane funzionaria della Montedison massacrata a 26 anni con una quarantina di coltellate il 24 luglio di 54 anni fa, in uno dei casi irrisolti più oscuri della storia milanese.
Simonetta aveva una vita serena, un buon lavoro, faceva attività di volontariato ed era molto legata alla sua famiglia, con cui stava per partire per una vacanza in Corsica. Si era fermata alla Cattolica, dove si era laureata, per un bisogno fisiologico, durante alcune commissioni in zona. Fu lì che incontrò il suo assassino, in un bagno femminile dove venne trovata solo due giorni dopo, il 26 luglio 1971. Il delitto, che colpì profondamente una Milano all’alba degli anni di piombo, avvenne in un luogo simbolico della città e della sua gioventù. Ma le indagini, sin dall’inizio, furono compromesse dalla tardiva scoperta del cadavere e da diverse superficialità.
Le ipotesi si susseguirono senza esito: un maniaco sessuale, un frequentatore dell’università, persino un serial killer. Nessuna di queste piste portò a una soluzione. Simonetta non fu derubata, né violentata. Nessun dissidio sul lavoro, nessuna ombra nelle sue relazioni. Il movente, ancora oggi, resta un enigma. Ma c’è chi non si rassegna all’oblio. "Credo che con i reperti ancora disponibili e con le tecniche più avanzate di oggi sia possibile e forse doveroso nei confronti della famiglia di Simonetta cercare di approfondire cosa è accaduto quella mattina", afferma al quotidiano Il Giorno l’ex magistrato Guido Salvini. Un reperto in particolare: l'impronta della mano dell'assassino, di cui però oggi resta solo una foto scattata dagli investigatori.
A ravvivare l’attenzione sul caso anche il criminologo Alberto Miatello, che ha condotto un’analisi approfondita della scena del crimine da cui è emersa la presenza di quattro muratori che stavano lavorando al piano inferiore con un martello pneumatico attivo. Dissero di non aver sentito nulla e all’epoca furono esclusi dalle indagini, ma secondo Miatello potrebbe essere utile tornare su quella pista. Lo stesso Miatello, insieme a Salvini, ha promosso una proposta di legge per la conservazione obbligatoria dei reperti legati a stragi e omicidi, affinché casi come questo non vengano più ostacolati dalla scomparsa delle prove.