Lo conferma una sentenza del Tar della Toscana
© iberpress
Vuoi andare in bagno? Un fiorino. Indipendentemente da "chi siete, cosa portate e quanti siete", per usufruire dei servizi bisogna pagare una cifra simbolica (almeno equivalente alla moneta dell'immortale scena di Non ci resta che piangere) attraverso la consumazione. Non c'è infatti solo la buona creanza dietro il classico avviso "l'uso della toilette è limitato esclusivamente alla clientela" ma anche un vero e proprio obbligo normato, in base al quale l'utilizzo del bagno non può mai essere gratuito.
La sentenza del Tar Toscana n. 691 del 18/2/2010 lo dice senza lasciare spazio a interpretazioni fuorvianti: un locale non è un bagno pubblico e spiega anche il perché di questa asserzione piuttosto tranchant. Garantire l'uso gratuito del bagno potrebbe infatti a una "eccessiva gravosità economica" per l'esercente, configurando una vera e propria "limitazione della libertà di iniziativa economica, in violazione dell’art. 41 della Costituzione" per quest'ultimo. Va tuttavia prestata attenzione a un altro aspetto su cui la stessa pronuncia del Tar pone l'accento: il bagno non è di tutti ma il suo utilizzo deve essere comunque garantito a chiunque abbia consumato nel locale e si sia quindi identificato come cliente. Anche il Tulps, Testo Unico delle Leggi sulla Pubblica Sicurezza, all'articolo 137 è lapidario in questo senso: “Il gestore di un pubblico esercizio non può rifiutarsi di mettere la sua toilette a disposizione di un cliente pagante senza giustificato motivo”.
Un bagno a norma e funzionante è insomma un obbligo inderogabile per qualunque "esercizio con un’attività di somministrazione di alimenti e bevande che prevedono una sosta da parte di chi consuma". Una definizione che, per semplificare, taglia comunque fuori tutti i luoghi dove ci si limiti all’asporto o dove il consumo è immediato, si pensi a titolo esemplificativo a rosticcerie o gelaterie. Va inoltre aggiunto che tutte le norme sopracitate decadono nel momento in cui esistano eventuali regolamenti comunali, in grado di normare il comportamento degli esercenti.
Accade per esempio a Parma, dove il Regolamento per la Convivenza obbliga i gestori ad "assicurare la piena ed effettiva fruibilità ed efficienza dei servizi igienici interni ai locali (consentendone l’utilizzo gratuito al pubblico)". Un'indicazione per ceri versi antitetica a quella che fa trasparire il regolamento in vigore invece a Venezia. All'articolo 11, secondo comma del testo che regola i servizi pubblici comunali è infatti non a caso scritto: "Tutti gli esercizi pubblici devono avere almeno un servizio igienico destinato alla clientela". Attenzione all'ultima parola: "clientela", ovvero chi per definizione consuma e paga. Viene da chiedersi se a questo punto, per aggirare i divieti, qualcuno non proverà a chiedere direttamente di copiare i borghesi de Il fantasma della libertà di Luis Buñuel, sostituendo gli sgabelli attorno ai tavoli con dei pratici water su cui sedersi (letteralmente) "in caso di bisogno".