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Via Poma, “Depistaggi, buchi negli alibi, silenzi. Un caso da riscrivere”

Parla a Tgcom24 Igor Patruno, il giornalista che ha fatto riaprire le indagini, autore di un libro inchiesta sul caso di Simonetta Cesaroni, la ragazza uccisa a Roma il 7 agosto del 1990

Via Poma, “Depistaggi, buchi negli alibi, silenzi. Un caso da riscrivere” - foto 1
Tgcom24

“Dall'esame accurato dei documenti sul delitto di via Poma spunta fuori una storia completamente diversa, che si discosta dalle ricostruzioni fatte finora e mai raccontata”.

Il giornalista Igor Patruno è uno dei massimi esperti del caso di Simonetta Cesaroni, la ventenne contabile massacrata negli uffici degli Ostelli della Gioventù a Roma il 7 agosto del 1990, a cui ha dedicato diversi libri.

L'ultimo, Via Poma. Anatomia di un delitto (Armando editore), scritto insieme a Luca Dato, è un'indagine realizzata confrontando una mole immensa di documenti, molti dei quali inediti. I due autori hanno contribuito con le loro indagini alla relazione dell'esposto presentato in Procura dalla sorella della vittima, Paola Cesaroni, che ha portato alla riapertura dell'inchiesta. Patruno è stato anche audito dalla Commissione parlamentare d'inchiesta che si è occupata del delitto. “Ho scoperto nuovi documenti e li ho consegnati alla Procura”, dice a Tgcom24, “nel dicembre scorso ho anche consegnato le bozze del mio libro, da cui risulta una ricostruzione dei fatti diversa da come finora li conoscevamo”.

 

 

Che cosa ha scoperto?
“Ci sono buchi negli alibi, alcuni dei quali sono fasulli o comunque mai verificati. E indagini che, se fatte in maniera diversa, forse avrebbero portato a un tutt'altro esito”.

 

Per esempio?
“Non fu mai cercato sul serio l'autore delle telefonate anonime a Simonetta Cesaroni. La ragazza ne ricevette diverse, tanto che ne aveva parlato con la sua famiglia. L'uomo al telefono le rivolgeva apprezzamenti sessuali. In una occasione le disse: 'Come, non mi riconosci? Eppure ci siamo incontrati'. Gli investigatori dell'epoca chiusero l'indagine in poco meno di 24 ore e indicarono come responsabile un giovane problematico che si era innamorato di Simonetta quando lei lavorava in una profumeria. La ragazza ci aveva parlato, lui andava al negozio, le mandava cartoline, scatole di cioccolatini. Quando Simonetta cambiò lavoro, il giovane andò in profumeria e non la trovò. Ci rimase così male che la titolare, mossa a compassione, gli diede il numero della Cesaroni. Era innocuo”.

 

Via Poma, “Depistaggi, buchi negli alibi, silenzi. Un caso da riscrivere” - foto 2
Tgcom24

 

 

Non era lui, quindi, a fare le telefonate anonime?
“Quando gli investigatori dissero al papà di Simonetta che secondo loro si trattava di lui, non ci credette. Sua figlia avrebbe riconosciuto la voce. L'autore delle telefonate anonime faceva apprezzamenti spinti. L'ultima di queste chiamate arrivò quattro o cinque giorni prima del delitto. Il che fa molto pensare, visto come è stata uccisa Simonetta”.

 

Il suo corpo era seminudo, accoltellata per ventinove volte, anche al volto e al pube. Ma c'era poco sangue sulla scena del crimine. L'assassino cercò di pulire?
“Forse è intervenuto qualcun altro. Abbiamo esaminato tutti gli alibi delle persone che si trovavano nel palazzo quel giorno e quelli di chi ci lavorava. Ci sono tante lacune. Abbiamo scoperto, per esempio, un buco in quello del portiere Pietrino Vanacore. Non si sa che cosa abbia fatto tra le 17.15 e le 18 e poi tra le 22.30 e le 23.30, ora in cui la sorella di Simonetta arrivò agli Ostelli della Gioventù e fece scoprire il delitto. Il sospetto è che il portiere abbia trovato il corpo e da lì si sia innescata tutta una serie di movimenti che hanno poi portato all'esito infausto delle indagini”.

 

Vanacore fu indagato per omicidio. Si è suicidato nel 2010, poco prima di testimoniare al processo contro l'ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, poi assolto. Secondo lei sapeva qualcosa?
“Di certo c'è che, quando gli investigatori gli chiesero che cosa aveva fatto quel pomeriggio, lui tacque di essersi recato presso un ferramenta dopo le 18 per comprare un frullino. Perché nascondere un evento che poteva servirgli come alibi? Che cosa doveva fare con quell'attrezzo? Fu proprio a causa delle sue imprecisioni sui suoi movimenti durante la giornata che gli investigatori sospettarono di lui e poi lo indagarono. Dopo il suo arresto, spunta fuori la moglie e dice che quel pomeriggio, intorno alle 18, aveva visto un uomo allontanarsi dal palazzo con un fagotto in mano. Fece anche i nomi di due persone che, secondo lei, somigliavano a quell'individuo”.

 

Nominò un geometra che lavorava nello stabile e un dipendente degli Ostelli. Ma non era nessuno dei due. Di chi si trattava?
“Abbiamo verificato tutte le versioni fornite dalla donna nel corso degli anni. L'unico elemento che rimane immutato è che indossasse un cappellino. Forse questa persona non è mai esistita. Credo, invece, che qualcuno abbia scoperto il corpo nel pomeriggio del 7 agosto e che, invece di lanciare l'allarme, abbia informato i responsabili degli Ostelli. E che poi, per coprire qualcosa o qualcuno, si sia innescato un meccanismo che ha portato ai risultati che tutti conosciamo”.

 

Troveranno mai l'assassino? 
“La Procura sta indagando. Questa volta si è ripartiti dall'inizio, si è fatto un totale reset. C'è una possibilità che finalmente se ne venga a capo. Me lo auguro per Simonetta e per la sua famiglia”. 

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