Un viaggio nelle fabbriche apri e chiudi di Prato, fatiscenti e irregolari
“Quarta Repubblica” segue Polizia e Guardia di Finanza in un capannone gestito da cinesi
Un viaggio nelle fabbriche di Prato gestite da cinesi, dove i lavoratori sono quasi ridotti in schiavitù. Le telecamere di “Quarta Repubblica” hanno seguito Polizia e Guardia di Finanza in un’operazione per chiudere una ditta tessile in un capannone fatiscente: un’area che sembra quasi dismessa, ma è circondata dalle telecamere; l’arrivo delle forze dell’ordine viene visto dall'interno e quasi tutti i presenti scappano prima dell’irruzione degli agenti.
Dentro, locali in condizioni igieniche precarie, con la presenza di spazzolini da denti che dimostrano come alcuni dei lavoratori dormano nell’edificio, oltre a lavorare tantissime ore al giorno per una manciata di euro.
“Le chiamano fabbriche apri e chiudi, perché durano al massimo tre anni, non si sa di chi siano e vengono gestite da prestanome”, racconta il Tenente Colonnello Federico Pecoraro, comandante dalla Guardia di Finanza di Prato. Dentro la fabbrica, trovati al lavoro anche migranti arrivati dall’Africa o dal Pakistan, segno che i cinesi non impiegano solo i loro connazionali.