Raffadali, padre uccide figlio in mezzo alla strada
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L'uomo, un poliziotto in servizio a Catania, è stato bloccato dai carabinieri mentre stava salendo su un autobus con la pistola nello zaino. Il pm: "Gesti di follia non arginati da un sistema socio-sanitario non sempre pronto"
Un 24enne, Vincenzo Gabriele Rampello, è stato ucciso con una quindicina di colpi di arma da fuoco a Raffadali, nell'Agrigentino. A sparare, a distanza ravvicinata, è stato il padre della vittima, Gaetano Rampello. L'uomo, poliziotto di 57 anni in servizio a Catania, ha confessato. Il movente del delitto sarebbe da ricercare nei continui dissidi familiari, anche di natura economica, tra i due.
Su un autobus con la pistola nello zaino - Gaetano Rampello è stato bloccato dai carabinieri mentre stava salendo su un autobus, con la pistola d'ordinanza nello zaino. L'uomo è assistente capo coordinatore della polizia di stato e lavora in servizio al X Reparto mobile di Catania.
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Omicidio sotto le telecamere di videosorveglianza - L'omicidio è avvenuto sotto l'impianto di videosorveglianza installato dal Comune su piazza Progresso. Nella piazza padre e figlio hanno avuto un'accesa discussione, sfociata nel tragico epilogo: il poliziotto avrebbe estratto la pistola d'ordinanza sparando contro il figlio diversi colpi. Sembra che il giovane avesse problemi psichici. L'uomo si è poi seduto su una panchina poco distanze in attesa di un autobus di linea sul quale è salito. Lì è stato trovato e bloccato poco dopo dai carabinieri della compagnia di Agrigento.
Il pm: "Gesti di follia non arginati" - Il procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio ha detto sul caso: "I recenti episodi di tragica e inaudita violenza avvenuti in questi giorni in provincia di Agrigento hanno evidenziato malesseri profondi all'interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio-sanitario-assistenziale non sempre pronto a erogare idonei servizi alla collettività". Il pm si riferiva anche alla strage di Licata del 26 gennaio, quando un uomo ha ucciso il fratello, la cognata e i loro due figli di 15 e 11 anni prima di suicidarsi. "Troppo spesso - ha ripreso - quelli che vengono definiti 'gesti di follia' sono il portato di conflitti sociali e familiari che il 'sistema', inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di arginare e contenere adeguatamente e legittimamente".