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Messina Denaro, a Campobello il superboss non usava l'alias Bonafede

Il capomafia utilizzava un nome differente nel paese in cui ha trascorso l'ultimo periodo della sua latitanza rispetto a quello adottato in clinica, in ospedale e negli studi medici

Messina Denaro, gli oggetti trovati nel covo: immagini e gadget de "Il Padrino"

Ecco alcuni oggetti rinvenuti nell'ultimo covo di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara: ci sono tante immagini e gadget (calamite, tazze e poster) che richiamano il celebre film di Francis Ford Coppola, Il Padrino. Ma anche poster di un leone e una riproduzione del celebre quadro la Vucciria di Renato Guttuso, uno dei simboli della Sicilia. 

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Matteo Messina Denaro si presentava con il nome di Andrea Bonafede in clinica, in ospedale, negli studi medici.

Ma usava un alias diverso a Campobello di Mazara, il paese in cui ha trascorso l'ultimo periodo della latitanza prima dell'arresto, avvenuto lunedì 16 gennaio. Tale accortezza, confermata dagli investigatori, l'avrebbe aiutato a non essere riconosciuto e a condurre una vita praticamente normale.

 

Il vero Bonafede molto noto in paese

 Infatti, in un paese come quello di Campobello, con circa 11mila abitanti, non poteva certo presentarsi come Andrea Bonafede, geometra che in paese conoscevano in tanti. E' questo l'ultimo sviluppo di un'inchiesta che sta cercando di ricostruire la lunga fuga del padrino di Castelvetrano: luoghi frequentati, covi, auto usate, identità dei fiancheggiatori. 

 

Perquisizioni a raffica

 Decine le abitazioni perquisite: quella del fratello del boss, del geometra Bonafede, della madre di lui, dell'ex legale trapanese Antonio Messina, di Giovanni Luppino, l'insospettabile agricoltore che ha accompagnato in auto il capomafia alla clinica Maddalena il giorno dell'arresto e di suo figlio. 

 

I covi scoperti

 Controlli a tappeto che, anche grazie alle indicazioni arrivate agli investigatori da persone che si sono presentate in caserma dopo l'arresto, hanno portato alla scoperta di due covi del boss e di un magazzino, nascosto da un fondo rimovibile di armadio utilizzati da Messina Denaro. Nel primo rifugio, quello di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, sono spuntate foto di animali feroci, magneti da frigorifero con l'immagine di un boss in smoking che ricorda Al Pacino nel "Padrino" e sotto scritto "il padrino sono io", la foto attaccata alla parete di Al Pacino, sempre nel film di Coppola, e la riproduzione della Vucciria di Renato Guttuso. Oltre ai cellulari, ora al valgio degli inquirenti, che avrebbero trovato decine di chiamate e spunti investigativi molto interessanti, oltre ai pizzini, ai post-it con appunti, a fogli scritti a mano tutti da interpretare, i carabinieri del Ros hanno trovato una serie di oggetti che si richiamano alla celebre pellicola. Nel covo c'erano anche un quadro a colori di Joker, il famoso personaggio dei fumetti, nella versione interpretata da Joaquin Phoenix. "C'è sempre una via d'uscita, ma se non la trovi sfonda tutto", diceva invece la scritta su un quadretto più piccolo appeso proprio sotto quello di Joker. 

 

L'auto del boss

 Le indagini hanno portato gli investigatori anche sulle tracce dell'auto del boss: una Giulietta che Messina Denaro ha comprato personalmente in una concessionaria di Palermo e che teneva in un garage del figlio di Luppino. I documenti dell'auto, intestati alla madre di Bonafede, erano conservati nel covo di vicolo San Vito. Sulla macchina sono in corso una serie di accertamenti tecnici irripetibili.

 

Le ricerche sui fiancheggiatori

 E indagini capillari vengono svolte sulla rete di fiancheggiatori del boss: Bonafede, che ha fatto mezze ammissioni, Luppino, che ha sostenuto di aver visto Messina Denaro, che conosceva come "Francesco", solo due volte, l'ultima la sera prima dell'arresto, e due medici. Uno, Alfonso Tumbarello, è l'ex medico di base di Campobello che aveva in cura il vero e il falso Andrea Bonafede. A entrambi prescriveva cure e farmaci. Credeva a un singolare caso di omonimia? I pm sono convinti che non sia così. Nell'elenco degli indagati c'è anche un oncologo trapanese che fece l'esame del Dna al boss e gli prescrisse la chemio. Per loro l'accusa è di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dal metodo mafioso. 

 

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