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Operazione antimafia in Sicilia, 22 fermi: preso anche il mandante dell'omicidio del giudice Rosario Livatino

Il boss, Antonio Gallea, era in semilibertà per aver mostrato di voler collaborare. Ma in realtà lavorava per ricostituire la Stidda

Un'inchiesta della Dda di Palermo sui capimafia e boss della Stidda ha portato a 22 fermi. L'indagine colpisce le famiglie mafiose agrigentine e trapanesi. Tra le persone finite in cella anche un avvocato di Canicattì nel cui studio i capimafia di diverse province siciliane si sono riuniti per due anni. Coinvolto in particolare uno dei capimafia indicato come il mandante dell'omicidio del giudice Rosario Livatino.

La rivitalizzazione della Stidda - Nel mandamento di Canicattì la Stidda era quindi tornata a riorganizzarsi, ricompattandosi attorno alle figure di due ergastolani riusciti a ottenere la semilibertà. Uno dei capimafia, il mandante dell'omicidio Livatino, avrebbe sfruttato i premi che in alcuni casi spettano anche ai condannati al carcere a vita per tornare a operare sul territorio e rivitalizzare la Stidda che sembrava ormai sconfitta, secondo quanto emerso dall'inchiesta del Ros.

 

Gallea in semilibertà dal 2015 - Dopo aver scontato 25 anni per l'assassinio del giovane magistrato, trucidato il 21 settembre 1990 e da poco proclamato Beato da Papa Francesco, il boss Antonio Gallea è stato ammesso alla semilibertà dal tribunale di sorveglianza di Napoli il 21 gennaio 2015 perché ha mostrato la volontà di collaborare con la giustizia. 

 

L'altro capomafia attorno a cui la Stidda si sarebbe andata ricompattando ha scontato 26 anni ed è stato ammesso al beneficio della semilibertà il 6 settembre 2017 e autorizzato dal tribunale di Sassari a lavorare fuori dal carcere. Anche lui avrebbe mostrato l'intenzione di aiutare gli investigatori. 

 

Premi e benefici - Una "collaborazione" che la giurisprudenza definisce "impossibile", in quanto entrambi hanno parlato di fatti già noti alla magistratura senza apportare dunque contributi nuovi alle indagini, ma che ha consentito a tutti e due di beneficiare di premialità. Dall'inchiesta è emerso che gli stiddari sono tornati a far concorrenza a Cosa Nostra, con la quale alla fine degli anni Ottanta si erano fronteggiati in una guerra con decine di morti. Stavolta la "competizione" tra le due organizzazioni criminali non ha ancora visto spargimenti di sangue, anzi le due mafie si sarebbero spartite gli affari. Come quelli nel settore delle mediazioni nel mercato ortofrutticolo,  uno dei pochi produttivi della provincia di Agrigento. 

 

Estorsioni e intimidazioni - Dall'indagine emerge inoltre che gli stiddari avrebbero usato la loro forza intimidatoria per commettere estorsioni e danneggiamenti. Scoperto anche un progetto di omicidio di un commerciante e di un imprenditore, evitato grazie all'intervento degli investigatori. La Stidda, hanno scoperto i militari dell'Arma, poteva contare su un vero e proprio arsenale di armi. 

 

La base logistica dall'avvocato - Le riunioni dei malavitosi avveniva nello studio di Angela Porcello, avvocato difensore di diversi boss, che era la compagna di un imprenditore già condannato per associazione mafiosa. Anche lei è finita in cella nel blitz dei carabinieri. Il suo studio era stato scelto come base logistica dei clan perché la legge limita le attività investigative negli uffici degli avvocati. 

 

I summit e gli affari della Stidda - Gli inquirenti hanno accertato che la donna aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa Nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliere, suggeritrice e ispiratrice di molte attività dei clan. Rassicurati dall'avvocato sull'impossibilità di effettuare intercettazioni nel suo studio, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate (Palermo) e il nuovo capo della Stidda si ritrovavano secondo le indagini nello studio, per discutere di affari e vicende legate a Cosa Nostra.

 

Intercettazioni - Le centinaia di ore di intercettazioni disposte dopo che, durante l'inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli asset dei clan, sulle dinamiche interne alle cosche e di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni. Uno spaccato prezioso che ha permesso di identificare personaggi ignoti agli inquirenti e boss antichi ancora operativi. 

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