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Torino, rinato con doppio trapianto: "Avevo 36 ore di vita"

Il racconto di un uomo di 56 anni sopravvissuto perché ha ricevuto microbiota fecale e fegato all'ospedale Molinette della Città della salute di Torino, in collaborazione con il Gemelli di Roma

Torino, rinato con doppio trapianto: "Avevo 36 ore di vita" - foto 1
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"Avevo un giorno e mezzo di vita davanti, quindi sono passato dalla certezza di morire a essere qui a parlare".

Così un uomo di 56 anni di Torino racconta di essere sopravvissuto grazie a un trapianto sequenziale all'ospedale Molinette della Città della salute di Torino, in collaborazione con il Gemelli di Roma. Prima ha ricevuto quello di microbiota fecale, poi quello di fegato. Affetto dalla nascita da malattia policistica con interessamento epatico e ai reni, è ora in convalescenza a casa ed è in corso il suo recupero nutrizionale e motorio dopo 120 giorni di percorso. Un iter che ha già ricevuto un riconoscimento dalla letteratura scientifica internazionale, essendo stato pubblicato sulla rivista Transplant Infectious Disease.

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Torino, rinato con doppio trapianto: "Avevo 36 ore di vita" - foto 2
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Aveva 36 ore di vita: salvato da doppio trapianto

 "Ho sempre avuto problemi di policistica a reni e fegato e sono sempre stato sotto cura e sovrappeso, oltre i 100 chili - spiega il 56enne. - Poi ho dovuto fare un intervento a un ginocchio e sembrava essere andato tutto bene, ma dopo tre settimane sono iniziati i problemi: ittero, infezioni intestinali. Sono rimasto a letto quattro mesi e sono finito in ospedale, ma non riuscivano a farmi migliorare, finché non mi hanno mandato in terapia intensiva alle Molinette".

 

 

Il paziente era all'ospedale Martini di Torino, perché costretto alla dialisi e il fegato era completamente avvolto da cisti e questo comportava una denutrizione e la colonizzazione intestinale da parte di batteri resistenti a qualunque terapia antibiotica. Lo scorso agosto l'aggravarsi delle condizioni ha costretto al trasferimento nella Terapia intensiva epatologica dell'ospedale Molinette, dove gli è stato proposto il trapianto del fegato.

 

 

Il successo però era condizionato dal riuscire a contrastare i batteri fecali resistenti agli antibiotici che avevano colonizzato l'intestino. È stato fatto attraverso il trapianto fecale, cento giorni esatti dall'arrivo alle Molinette, e ciò ha consentito di inserire il paziente nella lista trapianti in elevata priorità.

 

"Le 50 pastiglie di materiale fecale trattato da prendere per poter fare il trapianto di fegato, non sono state una passeggiata ma hanno fatto in modo che non mi pesasse e sono sopravvissuto", sottolinea il 56enne, riferendosi al trapianto di microbiota.

 

 

"Il trapianto di microbiota - ha spiegato Renato Romagnoli, direttore del Centro Trapianto Fegato di Torino dell'ospedale Molinette della Città della salute di Torino - è stato possibile grazie al lavoro e ai risultati tecnici in questo campo del Policlinico Gemelli di Roma, perché per questo paziente sarebbe stata impossibile la somministrazione con colonscopia, troppo a rischio sepsi. L'unica via era quindi un donatore di microbiota, sano, in modo che tutto l'insieme di organismi di questa persona sana potesse sostituire quello del paziente. E il donatore è arrivato attraverso il Gemelli".

 

 

"Adesso sono anche dimagrito - racconta il trapiantato. - Sono sui 70 chili e praticamente i miei vestiti e le mie scarpe sembrano di un altro. Riesco già ad alzarmi da solo, nonostante il ginocchio, a cui dovrò rifare l'operazione, perché la protesi si è sganciata. Dal trapianto sono venuto a casa prima di Natale e ogni giorno sento la differenza in meglio. Ho moglie e figlia che mi coccolano e mi portano ovunque, sono sempre state vicino a me, sono venute ogni giorno in ospedale".

 

 

"Al di là dell'uso compassionevole in deroga fatto in questo caso, con tutto l'iter di autorizzazioni che è stato necessario richiedere - sottolinea Romagnoli - dovrebbe essere organizzato uno studio clinico per poterla far diventare una prassi ordinaria. Farne una prassi, dal momento che grazie al Gemelli la tecnologia per preparare il microbiota sano c'è - conclude - può cambiare il futuro di tanti trapianti".

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