IL CASO

Morì in cella dopo aver perso 25 chili, la famiglia accusa: "Non venne curato"

La magistratura di Torino dovrà ora vagliare la richiesta dei genitori di Antonio Raddi, deceduto al carcere delle Vallette a 28 anni, di non archiviare il fascicolo sulla sua morte

28 Dic 2021 - 08:23
 © Ansa

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Agli addetti del carcere diceva che non riusciva a mangiare, ma loro pensavano che fingesse. Così è morto, alle Vallette di Torino, Antonio Raddi, 28 anni. All'ingresso in cella pesava 76 chili. Quando morì, sette mesi dopo, stroncato da un'infezione polmonare, di chili ne aveva persi 25. Il caso, che risale al 30 dicembre 2019, data del decesso, è ora al vaglio della magistratura, che dovrà valutare la richiesta dei genitori del giovane di non archiviare il fascicolo sulla sua morte. 

Ombre sul decesso - Alla vicenda ha lavorato il procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo che, dopo aver giudicato superficiale la prima consulenza medico-legale sul decesso dell'uomo, ne aveva disposta una seconda contattando altri specialisti. Non erano emerse indicazioni sufficienti per sostenere l'accusa contro lo staff sanitario del carcere, in cui risultano quattro indagati. Ma gli stessi esperti avevano espresso qualche perplessità sul caso: il progressivo calo di peso dell'uomo avrebbe dovuto essere, hanno scritto, "contrastato diversamente, anche con l'ausilio di approfondimenti clinico-specialistici e di laboratorio". 

Gli avvocati: ucciso dal deperimento - E questo non è stato fatto. Gli avvocati della famiglia, Massimo Pastore e Gianluca Vitale, hanno quindi deciso di dare battaglia. Secondo loro non fu la fame a uccidere Antonio ma il deperimento, così dicono i medici, che abbassò le difese immunitarie del giovane ed ebbe quindi un "ruolo causale" nell'insorgenza della polmonite da Klebsiella che lo uccise. 

Depressione, insonnia, inappetenza - Antonio era entrato alle Vallette ad aprile in regime di affidamento in prova dopo una condanna, ma aveva violato alcune regole perché, così aveva raccontato, dopo la morte della fidanzata era "andato in tilt". Ai guai con la giustizia sommava il consumo di droghe. Una volta dietro le sbarre aveva cominciato a manifestare depressione, insonnia e soprattutto inappetenza. 

Le testimonianze - "Ho conati di vomito tutte le volte che tocco cibo", aveva spiegato a una psicologa. Le testimonianze descrivono il "progressivo e preoccupante decadimento" cominciato fin dal mese di luglio. Alcuni tra i testimoni dicono che era lui a non voler mangiare perché "era convinto che una volta sceso a 40 chili sarebbe uscito" e che non accettava le cure. Circostanze che, secondo i legali, non sono vere, o comunque non bastano per sostenere che il detenuto abbia ricevuto assistenza adeguata. 

I legali: "Antonio chiedeva di essere aiutato" - Nel loro atto di opposizione, in cui sono indicate numerose persone che andrebbero interrogate, i legali sottolineano che Antonio chiedeva aiuto, prendeva integratori, incontrava le operatrici che stavano studiando dei percorsi per inserirlo in una comunità. Di fatto, a un certo punto non riuscì più ad alimentarsi. 

Il 6 dicembre di due anni fa cadde a terra e venne portato al Pronto soccorso dell'ospedale Maria Vittoria. Il 10 dicembre gli proposero il ricovero nel cosiddetto "repartino" del carcere, ma lui rifiutò affermando che c'erano solo molati psichiatrici, non era prevista l'ora d'aria e non era concesso fumare. Il 14 lo riportarono in Pronto soccorso e Raddi a quel punto non era più in grado di fare nessuna obiezione. Il primario ne certificò "l'estremo stato di denutrizione" e affermò che in 40 anni non aveva "mai visto niente di simile". Il giorno stesso della morte dell'uomo l'ufficio del Garante per i detenuti nel Comune di Torino inoltrò in procura una segnalazione sulla morte. 

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