La Corte d'appello di Bologna ha ribaltato una sentenza di primo grado: per i giudici, la polizza non copriva l'infezione da Covid-19. La vicenda riaccende il dibattito giuridico sulla distinzione tra infortunio e malattia
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Una donna di Parma, madre di due figli minori, dovrà restituire 200mila euro ricevuti dall'assicurazione dopo la morte del marito, deceduto nel marzo 2020 a causa del Covid-19. Lo ha stabilito la Corte d'appello di Bologna, ribaltando la decisione di primo grado che le aveva dato ragione. Secondo i giudici, la polizza infortuni stipulata dall'uomo non può essere attivata in presenza di un'infezione virale come il Covid-19, perché questa non soddisfa il requisito della "causa violenta" richiesto per definire un evento come infortunio. La sentenza, che potrebbe essere impugnata in Cassazione, solleva una questione delicata e ancora attuale: quali garanzie offrono davvero le assicurazioni private di fronte a pandemie o eventi sanitari straordinari?
La vicenda giudiziaria prende il via dalla morte di un uomo, dipendente di una concessionaria d'auto a Parma, avvenuta per complicanze legate al Covid-19 durante la prima ondata della pandemia. In un primo momento, il Tribunale di Parma aveva riconosciuto alla vedova il diritto a ottenere 200mila euro previsti dalla polizza infortuni sottoscritta dal marito, accogliendo le tesi dell'avvocata Francesca Barbuti, legale della famiglia.
Tuttavia, la Corte d'appello di Bologna ha ribaltato la decisione: secondo i giudici di secondo grado, l'infezione virale, pur potendo avere effetti gravi e persino letali, non deriva da un evento "violento" in senso tecnico, come richiesto dalla definizione contrattuale di infortunio. Nella motivazione, si legge: "Se l'infezione virale, pur avendo un effetto violento, non è conseguenza di una causa violenta, allora non si può far rientrare l'infezione da virus Covid-19 nella nozione di infortunio, richiamata nella polizza assicurativa". La donna è stata inoltre condannata al pagamento delle spese legali.
Le compagnie assicurative distinguono chiaramente tra "malattia" e "infortunio", due concetti che, in ambito giuridico e contrattuale, seguono definizioni molto precise. Nelle polizze private contro gli infortuni, si prevede che l'evento coperto sia causato da una "causa fortuita, violenta ed esterna" che provochi lesioni fisiche obiettivamente constatabili.
Nel caso del Covid-19, la Corte ha ritenuto che - pur trattandosi di una malattia grave e potenzialmente letale - manchi il requisito della "violenza esterna" intesa come evento traumatico e immediato, come avviene in incidenti, cadute o aggressioni. A rafforzare questa posizione, si è espressa anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3016 del 6 febbraio 2025, confermando che l'infezione da Sars-CoV-2 non rientra nella casistica degli infortuni in ambito assicurativo privato.
Non tutti i tribunali italiani, tuttavia, hanno adottato un'interpretazione uniforme. Il Tribunale di Vercelli, ad esempio, in un caso riguardante un medico deceduto per Covid, ha riconosciuto la natura "infortunistica" del contagio, sulla base del contesto lavorativo e del rischio concreto e immediato affrontato dal professionista. Al contrario, la Corte d'appello di Torino (sentenza n. 653/2023) e il Tribunale di Milano hanno confermato l'orientamento restrittivo: l'infezione virale, per quanto improvvisa, non può essere assimilata a un infortunio se non presenta caratteri di violenza esterna.
La giurisprudenza, dunque, appare divisa, e le differenze di giudizio riflettono la complessità del problema: a seconda delle clausole contrattuali, della professione della vittima e del contesto in cui è avvenuto il contagio, l'esito processuale può variare sensibilmente.
La distinzione tra infortunio e malattia è da tempo oggetto di dibattito anche a livello normativo. Il Decreto "Cura Italia" del 2020 ha stabilito che il contagio da Covid-19 può essere considerato infortunio solo ai fini dell'assicurazione pubblica (INAIL), e non nelle polizze private, dove valgono esclusivamente le condizioni contrattuali. Le compagnie, spesso, inseriscono clausole che escludono espressamente eventi legati a pandemie o malattie infettive, a meno che non siano associate a un elemento traumatico chiaro e documentabile. In assenza di questa previsione, la giurisprudenza è portata a escludere la copertura, come avvenuto nel caso di Parma.
Questa differenza tra pubblico e privato è fondamentale: mentre l'INAIL copre i lavoratori contagiati in ambito professionale, le assicurazioni private si appellano ai vincoli delle condizioni generali di contratto.
Il caso di Parma mette in evidenza quanto sia importante leggere con attenzione le condizioni delle polizze assicurative, soprattutto nei contesti di malattia o pandemia. In presenza di clausole ambigue o poco chiare, è consigliabile rivolgersi a un legale esperto in diritto assicurativo per verificare se esistano margini di azione, specialmente in situazioni complesse come quelle legate al Covid-19.
Per chi ha sottoscritto una polizza infortuni o una copertura mista, è essenziale verificare se le infezioni virali sono comprese o escluse dalla tutela. Infine, in caso di rigetto da parte dell'assicurazione, è possibile valutare un'azione legale, tenendo conto degli orientamenti giurisprudenziali e della possibilità di ricorrere ai giudici di merito.