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Messina Denaro, la nipote avvocato rinuncia a difenderlo nel processo per le stragi Falcone e Borsellino

Nell'aula bunker del carcere di Caltanissetta si sta celebrando il processo d'Appello sui mandanti delle stragi mafiose

Messina Denaro, la nipote avvocato rinuncia a difenderlo nel processo per le stragi Falcone e Borsellino - foto 1
Ansa

L'avvocato Lorenza Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro, ha rinunciato a difendere lo zio nel processo d'Appello sui mandanti delle stragi Falcone e Borsellino che si sta celebrando nell'aula bunker del carcere di Caltanissetta.

Il 9 marzo è in programma l'arringa difensiva, ma la nipote avvocato non sarà in aula. Ufficialmente perché non ha fatto in tempo a preparare l'arringa per i molti impegni con lo zio detenuto a L'Aquila.


Nei giorni scorsi i carabinieri del Ros hanno arrestato anche sua madre Rosalia Messina Denaro per associazione mafiosa. L'ultimo dei corleonesi nella scorsa udienza ha rinunciato a comparire in videoconferenza dal carcere di massima sicurezza.
 


Chi è Lorenza Guttadauro

 Avvocato penalista, è nipote di Matteo Messina Denaro: figlia della sorella Rosalia e di Filippo Guttadauro. Il nonno paterno, padre di Filippo, è lo storico boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Praticante fino al 2011, Lorenza Guttadauro ha poi avviato un'autonoma attività professionale. Sarà lei a rappresentare ora il boss in occasione dell’udienza del processo di appello prevista il 19 gennaio nell'aula bunker di Caltanissetta, dove Messina Denaro è imputato per le stragi di Capaci e Via D'Amelio del 1992.

 


Fotogallery - Castelvetrano (Trapani), la tomba della famiglia Messina Denaro



Messina Denaro interrogato il 14 febbraio

 Matteo Messina Denaro ha parlato davanti ai magistrati il 14 febbraio. Nel primo vero faccia a faccia con i pm, il boss arrestato il 16 gennaio alla clinica La Maddalena di Palermo non ha scelto il silenzio. Ad assisterlo proprio l'avvocato Lorenza Guttadauro: Messina Denaro, per oltre un'ora, ha risposto alle domande del procuratore Maurizio De Lucia e dell'aggiunto Paolo Guido, giunti dalla Sicilia per interrogarlo nel carcere de L'Aquila dove è detenuto al 41 bis.

 

Le risposte del "padrino" non hanno dato alcun contributo importante, o almeno significativo, al quadro dell'inchiesta. Tanto è vero che tutto si è risolto in poco tempo e il verbale non è stato neppure secretato. Se ne deduce che non contenga colpi di scena né elementi decisivi. Ma non per questo il velo del riserbo da parte dei magistrati si è allargato.

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