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Martedì 22 ottobre la decisione della Consulta sull'ergastolo ostativo

La Corte Costituzionale deve stabilire se il carcere a vita "ostativo" è conforme oppure no alla costituzione

Martedì 22 ottobre la decisione della Consulta sull'ergastolo ostativo - foto 1
ansa

Dopo la sentenza della Corte di Strasburgo che ha imposto all'Italia di modificare la legge sull'ergastolo, perché quello ostativo è un "trattamento inumano e degradante", la parola passa alla Corte Costituzionale.

I giudici del Palazzo della Consulta affronteranno il tema in un'udienza pubblica.

In camera di consiglio stabiliranno se quel regime particolare di carcere a vita cui sono sottoposti soprattutto mafiosi e terroristi e che non consente la concessione di benefici penitenziari, salvo che collaborino con la giustizia, sia conforme o no alla Costituzione. E in particolare al principio di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena sanciti rispettivamente dagli articoli 3 e 27 della Carta fondamentale. A sollevare il quesito sono state sia la Corte di Cassazione, e dunque il vertice della magistratura italiana, sia il tribunale di sorveglianza di Perugia. Sotto accusa è sempre l'articolo 4 bis della legge 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario, che appunto non consente agli ergastolani "ostativi" che non collaborano nemmeno di chiedere la concessione di permessi premio, del lavoro all'esterno del carcere, della liberazione condizionale e delle misure alternative alla  detenzione. 

 

Da dove parte la vicenda -  Il caso portato all'attenzione della Consulta dalla Cassazione riguarda un ergastolano, condannato per una serie di reati  commessi per agevolare un'associazione mafiosa, che si era visto rifiutare un permesso premio. Analoga la questione sollevata dal tribunale di Perugia rispetto a un caso simile: un condannato per 416 bis che si era visto negare un permesso premio. Per i giudici umbri elevare la collaborazione con la giustizia a prova legale del venir meno della pericolosità sociale del  condannato impedirebbe alla magistratura di valutare nel concreto la sua evoluzione personale, vanificando la finalità rieducativa della pena. 

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