L'intervista a Tgcom24

In cammino nella Pianura padana post lockdown, il paralimpico Devicenzi: "Un messaggio di speranza dopo il Covid"

Il 47enne atleta cremonese, che ha perso la gamba sinistra in un incidente 30 anni fa, sta affrontando la via Postumia con le sue stampelle speciali. "Non è solo una sfida sportiva", spiega a Tgcom24

04 Ott 2020 - 08:00
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© Andrea Devicenzi  | Per gentile concessione di Andrea Devicenzi© Andrea Devicenzi  | Per gentile concessione di Andrea Devicenzi© Andrea Devicenzi  | Per gentile concessione di Andrea Devicenzi© Andrea Devicenzi  | Per gentile concessione di Andrea Devicenzi

© Andrea Devicenzi | Per gentile concessione di Andrea Devicenzi

© Andrea Devicenzi | Per gentile concessione di Andrea Devicenzi

E' arrivato a Cremona, nella città dove è nato 47 anni fa, Andrea Devicenzi, atleta paralimpico e formatore aziendale, alle prese con la sua nuova impresa: in pellegrinaggio con le sue speciali stampelle lungo la via Postumia. Novecento e più chilometri in 48 tappe, dall'Adriatico al Tirreno, attraversando la Pianura Padana. Proprio a Cremona Tgcom24 lo raggiunge. "Sono un pellegrino particolare, a fine giornata devo far riposare le mani", racconta respirando aria di casa. Devicenzi ha perso la gamba sinistra in un incidente stradale trent'anni fa, ma non si è mai fermato. Con le sue stampelle speciali si sente davvero "libero e autonomo", assicura. "Ho superato con lo sport la barriera della disabilità e togliendo la protesi a 25 anni, perché per me troppo limitante, ho anche imparato a superare gli occhi addosso di chi incontro", confessa. Aggiungendo: "Sono al terzo Cammino in Italia, ma stavolta non è solo una sfida sportiva: è la valorizzazione di questo territorio che riparte dopo essere stato fortemente colpito dal coronavirus".

Un Cammino diverso questo che sta affrontando, dunque?
"Diverso per tanti motivi. La via Postumia è un Cammino nuovo, poco battuto, che affronto dopo la via Francigena del Nord (mille chilometri nel 2019 dalla Val d'Aosta a Roma) e la via di Francesco (500 chilometri nel 2018). Ma soprattutto che affronto dopo il lockdown, provenendo da una zona particolarmente colpita dal coronavirus e attraversandola ora dopo il lockdown, incontrando cittadini, amministratori e imprese con una fortissima voglia di ripartire. Per questo non si tratta stavolta di una sfida solo sportiva".

Cosa c'è al di là della fatica fisica e della soddisfazione di raggiungere un nuovo importante obiettivo nella sua nuova normalità?
"Sono un pellegrino particolare, a fine tappa, dopo 20-30 chilometri, devo far riposare le mani, non i piedi. Questi 900 chilometri possono sembrare facili sulla carta, senza altezze, morfologicamente piatti, ma non per ricchezza di tesori, artistici e culturali, di persone e di aziende. In realtà è un percorso molto impegnativo e in questo primo tratto da Aquileia (Udine) a Cremona ho molto sofferto il caldo. Non è in solitaria, perché sono seguito in auto da Bianca Baranzoni che si occupa di logistica e in bici dal videomaker Luca Rovelli che documenta il tutto anche attraverso il mio sito. Anche la preparazione durante il lockdown non è stata semplice: devo portare il mio peso fino a Genova, dove arriverò il 17 ottobre, attraversando cinque Regioni con 9 siti Unesco, incontrando gente straordinaria che si risolleva con tutte le sue forze dopo la sofferenza di questo periodo e i lutti. Proprio come ho fatto io a 17 anni, dopo l'incidente, quando, da sopravvissuto, ho deciso di non passare la vita sul divano a chiedermi perché proprio a me".

Un atleta fin da piccolo. Che ruolo ha avuto lo sport nella sua rinascita dopo l'amputazione?
"Ho iniziato a praticare sport a 5 anni e non ho mai smesso, nonostante quella notte in cui potevo non farcela. Ma proprio lo sport mi ha salvato allora e mi salva oggi. Allora, perché il mio cuore allenato alla fatica ha retto al trauma. Poi, perché in fase di recupero mi ha aiutato e mi aiuta ancora nel superamento della nuova normalità. E bisogna essere mentalmente molto concentrati".

 

Una normalità raggiunta con un paio di stampelle speciali.
"Esatto, le ho chiamate Katana. Sono in fibra di carbonio e racchiudono l'esperienza ventennale di utilizzo di stampelle, dopo che ho abbandonato la protesi, e le informazioni ricevute anche da altri amputati. Sono sicure, comode per le mani, con una manopola ergonomica in 3d e mi permettono di vivere la vita che voglio. E' vero, le mani sono impegnate, faticano, ma ora sono autonomo".

Che pensiero l'accompagna?
"Mi accompagna il pensiero di attraversare queste zone dove si ricomincia a vivere, dove si supera il brutto periodo del Covid, ma che non dimenticano quanto passato, chi non c'è più. Superiamo la sofferenza, ma non dimentichiamo".

Così si dirà una volta a Genova?
"Sono partito con un'aspettativa molto alta che finora non è stata delusa. E' una magia. A Genova proverò la soddisfazione di aver creduto per primo e tra i primi a questo Cammino, che è il terzo in Italia per me, motivo di orgoglio. Vorrei diventare testimonial della via Postumia e questo amore per la mia terra è così forte che mi è stato riconosciuto anche dalla presidente del Senato Casellati. La incontrerò di nuovo a Roma il 10 ottobre".

Ma sta pensando alla prossima sfida?
"Certo, io non posso stare fermo. Nel 2021 sarà un cammino meno impegnativo e meno lungo. Forse ancora in Italia. Intanto, sogno di rivedere presto sorridere Alex Zanardi in sella alla sua handbike in cima a una salita. Lui ora sta affrontando la sfida più difficile della sua vita e teniamo le dita incrociate. Non è solo un esempio per noi paralimpici, ma per tutti".

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