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Delitto Desirée Piovanelli, i sospetti del padre: "Troppi silenzi e misteri, riaprire le indagini"

"Stiamo lottando per la verità che non c'è ancora. C'è una porta lasciata aperta dal giudice: se emergeranno nuovi elementi, verranno valutati"

Delitto Desirée Piovanelli, i sospetti del padre: "Troppi silenzi e misteri, riaprire le indagini" - foto 1
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Maurizio Piovanelli, 61enne padre di Desirée, la ragazzina di 14 anni uccisa nel 2002 a Leno (Brescia), continua a chiedere giustizia.

Gli autori materiali del delitto, di cui tre minorenni che hanno scontato la pena e sono liberi e un maggiorenne ancora in carcere, sono già stati condannati in via definitiva, ma secondo il padre della ragazzina non tutta la verità è emersa. Maurizio è infatti convinto che la morte della figlia non sia stata l'epilogo di una tentata violenza sessuale ma di un sequestro finito male, organizzato da una rete di pedofili, tuttora presente nelle Bassa bresciana e lancia un appello: "Che qualcuno parli davvero e che vengano riaperte le indagini per scoprire ciò che manca".

In un'intervista al Resto del Carlino, Maurizio Piovanelli parla di questi 20 anni che sono stati"difficili e impegnativi. Stiamo lottando per la verità che non c'è ancora e siamo estremamente delusi dalla giustizia italiana".

 

I dubbi del padre - Il papà di Desirée è sempre stato convinto che la responsabilità non fosse circoscritta al branco. "L'ho detto da subito. E ne sono sempre più convinto. Negli anni sono uscite cose talmente strane che mi hanno portato a credere che c'era sotto qualcosa di molto grosso. Ci sono le voci del Paese e ci sono le persone con cui ho parlato. Perché non sono state prese in considerazione?".

 

"La speranza è che qualcuno parli" - Sul giubbino della ragazzina è rimasto un Dna mai attribuito. "È un'altra cosa che non capiamo: perché questo Dna non è stato confrontato con quello di certe persone? È ancora disponibile. La speranza è che qualcuno del paese, qualcuno che sa tante cose, parli. Alcune persone le ho conosciute, altre no. Qualcuno ha parlato, qualcun altro no. Ma non abbiamo avuto nessun risultato. Sinceramente non capisco perché non abbiano fatto delle indagini ulteriori". Poi ribadisce: "Ora mi aspetto che qualcuno parli davvero e che vengano riaperte le indagini per scoprire ciò che manca. Al tempo si è fatto tutto in fretta, i processi sono stati celebrati in tempi record, fidandosi di tutto quello che dicevano i ragazzi", conclude.

 

"Porta lasciata aperta dal giudice" - Intanto, la nuova inchiesta nata dal suo esposto è stata archiviata. "Ma c'è una porta lasciata aperta dal giudice: se emergeranno nuovi elementi, verranno valutati", afferma Maurizio che ha incontrato anche uno dei ragazzi che sono usciti dal carcere: "Mi ha avvicinato al parcheggio di un supermercato. Aveva la barba, non l'avevo riconosciuto. Mi ha detto chi era, che gli dispiaceva molto, che non c'entrava e che era stato tirato dentro dagli altri due. Mi ha parlato del giro di pedofilia. A Leno lo sanno tutti. È come essere nella Palermo di 40 anni fa. Palermo è cambiata, Leno no. Non riesco a capire come facciano a vivere, cosa diranno ai loro figli. So che uno è papà. Da parte nostra si fa il possibile per non odiare nessuno, però non è semplice. Anche perché non mi risulta che si siano mai pentiti. Come se fosse stata una cosa normale".

 

L'ultimo ricordo di Desy - "Sempre sorridente. Il suo sorriso meraviglioso. Quel sabato è uscita alle 14:30. Non è vero che è stato un'ora dopo, alle 15:30. Uno dei ragazzi, dalle 15:15 alle16, ha fatto parecchie telefonate. Quindi Desy era già morta. Una chiamata è stata particolarmente lunga, come se il ragazzo avesse dovuto riferire a qualcuno quello che era successo. Perché non è stato verificato a chi ha telefonato e cosa si sono detti? È importante. Potrebbe saltare fuori il mandante".

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