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Roma, uccise il convivente avvelenandolo con un cocktail di alcool e farmaci: condannata a 23 anni

Il delitto avvenne a Vigne Nuove (Roma) il 31 gennaio 2019, ma l'arresto scattò più di un mese dopo. La donna aveva anche comprato una smerigliatrice per cercare di fare a pezzi il corpo della vittima

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Per cercare di fare a pezzi il corpo dell'ex compagno, avvelenato con un cocktail di benzodiazepine e alcool, aveva anche comprato una smerigliatrice. Ma l'arrivo dei carabinieri il 31 gennaio del 2019 nell'appartamento di Vigne Nuove (Roma) l'aveva interrotta. A quasi tre anni di distanza la 49enne Lalla Halima Najah-El Idrissi è stata condannata a 23 anni di carcere per omicidio volontario e tentato occultamento di cadavere. 

Il 34enne Kadmiri Adill, marocchino come la donna, era stato trovato privo di vita dai militari, adagiato su una sedia a rotelle e avvolto in alcune coperte e nascosto in due buste di plastica.

 

La testimonianza decisiva

A dare l'allarme era stato un amico della coppia che a sua volta, in stato confusionale, aveva raccontato ai carabinieri che la donna gli aveva offerto duemila euro per sbarazzarsi del corpo, minacciandolo e impedendogli di uscire dall'appartamento dove si era consumato il delitto, temendo che potesse denunciare i fatti. Il piano di Idrissi avrebbe previsto anche la sparizione del corpo facendolo a pezzi con una smerigliatrice, utensile acquistato qualche settimana prima dell'omicidio. Tuttavia la smerigliatrice non è mai entrata in funzione. Non per scelta della 47enne ma per l'arrivo dei carabinieri avvertiti proprio dall'amico della coppia.

 

Il giallo

La morte di Kadmiri era rimasta avvolta nel mistero per oltre un mese. Sul cadavere, il medico legale aveva infatti riscontrato alcuni ematomi ma nessuna ferita che potesse spiegarne il decesso. Così, sebbene il fascicolo fosse stato aperto subito per omicidio, il caso sembrava destinato a rimanere insoluto fino all'esito dell'autopsia, che aveva rivelato le cause del decesso.

 

Le prove che hanno inchiodato la donna

Il 4 marzo la donna venne arrestata, ma subito dopo tornò in libertà su disposizione del Tribunale del riesame che aveva giudicato carenti gli indizi di colpevolezza. Anche se qualche dubbio che non fosse una morte naturale è stato subito evidente ai militari. A inchiodare Idrissi è stato invece il risultato dei test sull’alcool. Quel mix micidiale di whisky e benzodiazepine, per la Procura, lo poteva aver preparato solo lei.

 

La condanna La Corte d'Assise ha condannato la donna a una pena molto più severa di quella chiesta dal pm Eleonora Fini. La Procura infatti aveva proposto 12 anni e sei mesi di reclusione. A fare la differenza è stato il mancato riconoscimento come prevalente, dell'attenuante delle provocazioni subite da Idrissi, sostenute dalla Procura. Per il pm la donna ha agito perché intenzionata a liberarsi di un partner violento, che più volte l'avrebbe minacciata e picchiata. In questo caso i giudici hanno bocciato la ricostruzione della Procura.

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