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Regeni, giovedì al via il processo che vede come imputati quattro 007 egiziani

L'assenza degli uomini dei servizi segreti in aula a Roma sarà però il primo nodo da sciogliere. Sono tutti accusati di sequestro di persona: uno anche di lesioni e concorso nell'omicidio. La presidenza del Consiglio si costituirà parte civile

Il nodo dell'assenza degli imputati sarà il primo da sciogliere in apertura del processo per l'omicidio di Giulio Regeni. Il 14 ottobre, data fissata per la prima udienza, nell'aula bunker di Rebibbia, la Terza Corte d'Assise inizierà i lavori valutando le ragioni dell'assenza dei quattro 007 egiziani imputati. La presidenza del Consiglio si costituirà parte civile.

Gli imputati

Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, sono tutti accusati di sequestro di persona, mentre Abdelal Sharif risponde anche di lesioni e concorso nell'omicidio del ricercatore friulano ucciso nel 2016 a Il Cairo.

 

Solo se verrà stabilito che i quattro si sono "volontariamente sottratti", il giudizio potrà entrare nel vivo. In aula ci saranno anche i genitori del ricercatore, Paola e Claudio Regeni, che da quasi sei anni si battono perché venga fatta piena luce sulla morte del figlio.

 

Il primo nodo da sciogliere

Come nell'udienza preliminare, la prima questione all'attenzione dei giudici sarà dunque quella dell'irreperibilità e la mancata notifica agli imputati, dei quali le autorità egiziane non hanno mai fornito gli indirizzi utili a dare notizia degli atti del processo.

 

 

A maggio, il gup Pierluigi Balestrieri ha sottolineato che "la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio", dunque gli imputati non possono non sapere del processo a loro carico.

 

 

L'omicidio e le false piste

Giulio venne rapito la sera del 25 gennaio 2016 e il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Da allora si sono susseguite bugie, false piste e ricostruzioni che, da parte egiziana, hanno sempre cercato di screditare la vittima: all'indomani del ritrovamento del cadavere si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, successivamente si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l'aveva portato a farsi dei nemici.

 

A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte. Il 24 marzo del 2016 arrivò l'ennesima ricostruzione non credibile e questa volta c'erano di mezzo cinque morti: criminali comuni uccisi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia de Il Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane.

 

La ricostruzione della procura di Roma Secondo la ricostruzione della procura di Roma, il ricercatore era attenzionato da polizia e servizi segreti già settimane prima del rapimento. Le analisi sui tabulati hanno messo in luce i numerosi contatti telefonici tra gli agenti che si erano occupati di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi nel marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l'omicidio. La procura di Roma è convinta che Giulio sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi. 

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