L'intervista

La storia di Nicholas, 24enne nato senza braccia: dalla recente patente al lavoro da dj | A Tgcom24: "Mai mollare"

Il giovane, residente a Badalucco (Imperia), fa tutto con i piedi 

di Giorgia Argiolas
03 Ott 2025 - 07:55

Nicholas Deplano, 24enne residente a Badalucco (Imperia), è nato senza i due arti superiori. Questo non gli ha impedito di raggiungere i suoi obiettivi, "trasformando" i suoi piedi in mani. Dal più recente, la patente, presa il 25 settembre dopo una lunga preparazione - si tratta di uno dei pochi casi in Italia in cui un automobilista usa i piedi per condurre un veicolo - al suo lavoro da dj. Una storia di speranza e resilienza che Nicholas ha raccontato a Tgcom24, sottolineando: "Mai mollare, perché il giorno che molli hai distrutto te stesso". 

Nicholas, partiamo dall'ultimo traguardo raggiunto: la patente. È stato un percorso lungo, può raccontarci?
È stato un percorso lungo più che altro per la burocrazia, perché quando finalmente, poi, sono riuscito a iscrivermi a scuola guida, per il conseguimento della patente ci è voluto meno di un anno. Il problema è stato, prima, capire di quali adattamenti avesse bisogno la macchina. Abbiamo dovuto fare delle prove fino a trovare la soluzione ottimale.  

Ora guida una macchina adattata, che poi è quella che ha usato anche per fare scuola guida… 
In teoria, per legge, l'autoscuola dovrebbe adattare la macchina che mette a disposizione per le persone con disabilità. Però, giustamente, quella a cui mi sono affidato non voleva affrontare questa spesa perché avrebbe dovuto adattare la macchina solo per me. Posso capire che 9mila euro di adattamenti per una sola persona non avrebbe senso farli. Quindi, mi ha dato la possibilità di fare scuola guida con la mia auto. Ho affrontato io le spese, ma tanto avrei dovuto comunque farlo. 

  

In tutto, quindi, quanti anni sono passati da quando ha avviato le pratiche? 
In tutto, ci sono voluti circa sei anni. Le ho avviate appena ho compiuto 18 anni. Essendo appassionato di motori, la patente è sempre stata uno dei miei obiettivi principali. 

Cosa rappresenta per lei questo traguardo? 
Un nuovo inizio. Per spostarmi, ho sempre dovuto dipendere da mio papà e da mio fratello. Quando ero ragazzino e tutti avevano il motorino e iniziavano a fare i primi giri, io non potevo spostarmi autonomamente. E quindi sono stato parecchio in casa da solo. Il conseguimento della patente rappresenta un riscatto per quel me di qualche anno fa. 

Tra l'altro, la patente le serve anche per il suo lavoro da dj. Può raccontarci di questa passione che poi è diventata una professione? 
Facevo il dj in casa per hobby. Poi, ho iniziato a fare le mie prime serate attraverso un centro aggregativo per i giovani: è stato proprio un educatore a spingermi a credere che avrei potuto trasformare la mia passione in qualcosa di "più serio". Da lì ho iniziato con le prime date e adesso è diventato praticamente un lavoro. 

 

© Tgcom24

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Il suo nome d'arte è abbastanza rappresentativo: "FeetDJ" (feet in inglese significa piedi, ndr). Com'è nata l'idea? 
Sempre grazie all'educatore di cui parlavo. Il mio nome d'arte era "NikiDJ" - dal diminutivo di Nicholas -, ma lui mi ha detto: "È troppo banale, devi trovare un nome più rappresentativo". E così abbiamo optato per "FeetDJ". 

La sua storia può essere un esempio per tante persone disabili e non solo. Che messaggio vorrebbe lanciare? 
Vorrei lanciare un messaggio rivolto soprattutto ai ragazzi normodotati: non escludete mai qualcuno che ha una disabilità perché può insegnarvi molto. E non solo a livello emotivo. La disabilità per me è un'evoluzione. Ad esempio, io mi sono evoluto: faccio tutto con i piedi e per un essere umano comune è una cosa impensabile. Il cervello ha creato un altro sistema di sopravvivenza, che poi è quello che è successo agli esseri umani nell'evoluzione. Il nostro corpo e il nostro cervello, a volte, tirano fuori delle soluzioni impensabili che possono essere d'aiuto anche per gli altri. 

Cosa manca, secondo lei, alla nostra società per essere veramente inclusiva? 
C'è molta poca sensibilizzazione sulla disabilità. Penso che si dovrebbero organizzare delle manifestazioni in merito, ma non con i disabili posti in un angolino. Inoltre, penso che ci siano anche un po' di ipocrisia e di buonismo. Io sono il primo a dire che se mi comporto male con una persona quest'ultima deve essere libera di dirmelo, non perché sono disabile allora mi è permesso tutto. Però, allo stesso tempo, non perché sono disabile non devo avere diritti come gli altri. Ci deve essere uguaglianza, anche a livello emotivo. 

Lei non si pone limiti. È sempre stato così? E se no, è stato difficile arrivare a questo?  
Che io ricordi, sono sempre stato determinato. Quando andavo all'asilo, proprio per integrarmi, i miei genitori avevano portato nella struttura un grande tappeto dove potessi giocare assieme agli altri bambini. Quel tappeto è diventato un simbolo di inizio di libertà perché lì ho iniziato a scrivere, a pitturare, a fare tutto quello che facevano anche gli altri bambini. Ho avuto un'infanzia molto banale, se possiamo dire. Di sicuro, le mie passioni mi hanno portato a scoprire tanto di me stesso. Anche io a volte rimango shockato da quello che riesco a fare. Ma anche una persona qualunque, quando riesce a fare una cosa che prima non pensava di riuscire a fare, rimane sorpresa. È solo una questione di scoprire se stessi e cercare di migliorarsi sempre. Per questo, io cerco di non pormi limiti. Se domani voglio prendere il brevetto di volo, mi informo finché non trovo una soluzione. Ad esempio, sono andato in barca a vela, che è un qualcosa che sarebbe impensabile per me. Tutti i miei compagni di classe lo facevano e io non volevo guardare gli altri, volevo farlo. Così, l'ho fatto. 

Ed è quello che consiglia anche magari a chi non trova la stessa speranza: di non mollare mai? Di non porsi limiti? 
Mai mollare, perché il giorno che molli hai distrutto te stesso. Ho avuto anche io attimi in cui ho detto: "Questa cosa è meglio non farla". Però, ho notato che dal momento in cui lo dicevo mi rimaneva comunque il pensiero fisso: "Perché sto mollando?". Ero io che mi ponevo il limite. 

Prossimi sogni da realizzare? 
Il mio sogno più grande è aprire uno studio di registrazione accessibile a tutti e con una filosofia di vita: quando si entra, tutte le divergenze devono sparire. Non ci devono essere differenze e neanche pregiudizi. Il mio obiettivo principale è fare inclusione attraverso la musica. 

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