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Cremona, primario del pronto soccorso: "Test sierologici senza tamponi? Riapertura sarebbe un disastro"

A Tgcom24 parla Antonio Cuzzoli: "Un nuova ondata di contagi sarebbe una rovina perché abbiamo già una cicatrice aperta"

Cremona è un caso. Nelle ultime ore è qui che si concentra l'incremento più alto di contagi, per la Lombardia. Ed è da qui che si partirà il prossimo 21 aprile coi test sierologici. Eppure potrebbe non bastare. È quanto spiega a Tgcom24 Antonio Cuzzoli, primario del Pronto soccorso e Medicina d'urgenza dell'ospedale di Cremona: "Tamponi ed esami sierologici sono complementari. L'uno senza l'altro dà informazioni incomplete".

 

"Questa guerra ci impone di fare delle scelte per correre ai ripari - afferma il primario - scelte che devono essere compiute prima della riapertura. Il primo punto sono i tamponi, che servono per escludere un'eventuale positività ancora attiva. Dobbiamo capirlo prima di autorizzare le persone ad uscire. Il secondo passo sono gli esami sierologici per verificare la protezione sviluppata dai cittadini".


Con questi test sarà infatti possibile rilevare gli Igm (anticorpi precoci che si sviluppano da una a quattro settimane), e gli Igg (anticorpi piu tardivi che danno immunità, anche se non è ancora chiaro quanto resisterà nel tempo).

 

Il responsabile del Pronto soccorso di Cremona non nasconde la propria preoccupazione: "Forzare una riapertura senza una mappatura dei casi, è rischioso. Un nuova ondata di contagi sarebbe un disastro perché abbiamo già una cicatrice aperta".

 

Antonio Cuzzoli è provato da questi 50 giorni di urgenze: seppur prossimo alla pensione, è rimasto in corsia. "L'ospedale è stato lasciato come unica diga - racconta a Tgcom24 -. Per un mese siamo stati qui giorno e notte per riorganizzare i reparti".

 

"In diretta tv abbiamo sentito epidemiologi e infettivologi che spiegavano il virus ma che cosa si è imparato? - si domanda il primario -. I Pronto soccorso italiani con 200 malati Covid in un corridoio cosa ci dicono? Che vanno ampliati e che servono veri reparti di rianimazione".


Poi aggiunge: "Bisognerebbe ripensare anche la sorveglianza attiva a domicilio del paziente. Abbiamo avuto casi gravi che arrivavano in ospedale dopo giorni e giorni di febbre alta, a casa, senza un protocollo terapeutico".

 

Prima di rimettere la mascherina, uscire dal proprio studio e tornare dai pazienti, il primario ci confida: "Questa catastrofe ci ha fatto riscoprire anche qualcosa di bello, lo sguardo delle persone. Dei pazienti ma anche delle nostre relazioni. Una giovane donna di 40 anni, dopo 9 giorni di ricovero mi ha scritto: 'Caro dottore il suo sguardo è stato per me un abbraccio indimenticabile'".

 

di Claudia Vanni
 

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