Professore emerito alla Cattolica, fondatore della rivista FOTOgraphia, è stato un punto di riferimento per lo studio e la critica dell'immagine in Italia
Maurizio Rebuzzini, morto a Milano in circostanze ancora da chiarire, è stato molto più che un docente universitario: il suo nome è legato alla critica fotografica italiana, a riviste che hanno plasmato il dibattito culturale e a un approccio severo ma appassionato allo studio dell'immagine. La sua scomparsa priva il mondo accademico e quello culturale di una voce lucida e autorevole, capace di trasmettere una visione profonda sul ruolo della fotografia nella società contemporanea. Professore emerito di Storia della fotografia all'Università Cattolica di Milano, Rebuzzini ha unito ricerca, insegnamento e divulgazione, diventando una figura di riferimento per generazioni di studenti e appassionati. Il suo percorso professionale, lungo e articolato, ha contribuito a consolidare la fotografia come disciplina critica e accademica in Italia.
Nato a Milano, Rebuzzini ha sviluppato fin da giovane un forte interesse per le immagini e il linguaggio fotografico. Negli anni, questo interesse si è trasformato in un percorso di studi e di insegnamento che lo ha portato a tenere corsi di Storia della fotografia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, trasmettendo ai suoi studenti un approccio rigoroso e critico. Il suo metodo si fondava sull'idea che la fotografia non fosse soltanto un mezzo espressivo, ma anche un documento storico e un elemento fondamentale per comprendere la società. In ambito accademico, Rebuzzini ha promosso corsi, seminari e pubblicazioni che hanno approfondito le trasformazioni del linguaggio fotografico, con particolare attenzione al rapporto tra immagine e cultura visiva.
Accanto all'attività universitaria, Rebuzzini ha fondato e diretto FOTOgraphia, rivista bimestrale nata nel 1994 e presto divenuta un punto di riferimento per chi si occupa di immagine. L'esperienza editoriale si è arricchita con FOTOgraphiaONLINE, versione digitale della rivista, che ampliava il dibattito anche in rete. FOTOgraphia non si limitava a proporre immagini e portfolio, ma offriva analisi critiche, riflessioni teoriche e approfondimenti sulla fotografia come fenomeno culturale. Rebuzzini ha curato personalmente molti numeri, selezionando contenuti e interventi che riflettevano il suo approccio analitico e documentaristico. In questo spazio editoriale, la fotografia è stata raccontata non solo come arte, ma anche come linguaggio sociale e come memoria storica, in grado di attraversare epoche e generazioni.
Il pensiero critico di Rebuzzini si distingueva per la sua severità e profondità. Credeva nella necessità di andare oltre l'apparenza immediata delle immagini per interrogarne il significato più profondo. La sua filosofia si basava su tre pilastri: la storicità della fotografia, intesa come testimonianza di epoche e avvenimenti; la funzione sociale dell'immagine, in grado di plasmare la memoria collettiva; la dimensione estetica, che non si esauriva nell'aspetto visivo, ma dialogava con il contesto culturale e con le trasformazioni tecnologiche. Il suo lavoro ha contribuito a rafforzare la percezione della fotografia come campo di ricerca autonoma e come strumento essenziale per comprendere il costume e la società.
Con la sua scomparsa, il mondo della cultura perde un critico rigoroso, un docente appassionato e un direttore editoriale che ha dato alla fotografia uno spazio di riflessione autentico. Il suo lascito resta nelle pagine della rivista FOTOgraphia, nei saggi e nelle lezioni universitarie, ma soprattutto nell'impronta lasciata su studenti, studiosi e appassionati che hanno trovato in lui un punto di riferimento. Rebuzzini ha dimostrato che la fotografia non è soltanto un'arte visiva, ma anche un linguaggio complesso che racconta chi siamo e come viviamo. La sua opera resta un contributo duraturo alla comprensione critica dell'immagine in Italia e oltre i confini nazionali.