La Suprema Corte riconosce il diritto all’affettività anche ai detenuti sottoposti al regime di massima sicurezza: il boss Emanuello potrà vedere la donna conosciuta durante la detenzione
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La Corte di Cassazione ha stabilito che anche un boss detenuto al 41 bis può avere diritto a un colloquio visivo con una persona con cui ha instaurato una relazione sentimentale. È il caso di Davide Emanuello, affiliato a Cosa Nostra, che aveva chiesto di incontrare la donna con cui intrattiene da anni uno scambio epistolare. Il sì dei giudici rappresenta una svolta, in un ambito dove il rigore del regime detentivo sembra spesso annullare ogni spazio per i legami personali.
Davide Emanuello è un esponente di spicco della mafia siciliana, attualmente detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sassari. Questo regime carcerario, noto anche come "carcere duro", è riservato a soggetti ritenuti particolarmente pericolosi, per evitare che possano continuare a esercitare il loro potere mafioso dall'interno del penitenziario. L'uomo sconta una condanna per reati di mafia ed è sottoposto a misure restrittive molto severe, che comprendono la limitazione dei contatti con l'esterno, inclusi familiari e conoscenti.
Durante la sua detenzione, Emanuello ha avviato una corrispondenza con una donna estranea all'ambiente criminale. Le lettere, inizialmente sporadiche, si sono trasformate in uno scambio costante, dando vita a un rapporto sentimentale. Secondo quanto riportato dai suoi legali, Valerio Vianello Accorretti e Lisa Vaira, dal carteggio sarebbe nata una vera e propria relazione. La richiesta di incontrarla in carcere per un colloquio visivo rappresentava per il boss un modo per consolidare quel legame, nonostante le limitazioni imposte dal regime speciale.
Il primo ostacolo alla richiesta di Emanuello è arrivato dal direttore del carcere di Sassari, che ha negato il permesso di colloquio. A quel punto, la difesa si è rivolta al tribunale di sorveglianza, che ha accolto l'istanza, riconoscendo la natura affettiva della relazione. Il Ministero della Giustizia ha impugnato la decisione, presentando ricorso in Cassazione. Ma anche la Suprema Corte ha dato ragione al detenuto, sottolineando che non vi erano elementi di pericolo tali da giustificare il divieto.
Secondo i giudici della prima sezione penale della Cassazione, l'affettività è un diritto che non può essere annullato automaticamente dal regime del 41 bis. Il collegio ha ribadito che i colloqui possono essere limitati solo in presenza di rischi concreti per l'ordine e la sicurezza. Nel caso di Emanuello, non sono emersi elementi che colleghino la donna a contesti criminali o che suggeriscano un pericolo derivante dall'incontro. La decisione, dunque, apre un precedente importante, destinato a influenzare altri casi simili. La sentenza mette in luce un aspetto spesso trascurato della vita carceraria: il bisogno di mantenere rapporti umani e affettivi, anche in condizioni di detenzione estrema. Pur mantenendo il rigore del 41 bis, la Corte ha riconosciuto che il contatto visivo con una persona cara può essere garantito se non sussistono rischi concreti. Una posizione che punta a umanizzare la pena senza comprometterne l'efficacia, e che potrebbe costituire un punto di svolta nella giurisprudenza penitenziaria italiana.
Oltre ai familiari diretti come coniuge, figli o genitori, anche altre persone possono richiedere un colloquio visivo con un detenuto al 41 bis, purché dimostrino l'esistenza di un legame affettivo significativo. La normativa consente questa possibilità quando sussistono motivi ragionevoli, che devono essere valutati dall'amministrazione penitenziaria e, in caso di controversia, dal tribunale di sorveglianza.
Nei colloqui autorizzati in regime di 41 bis, il contatto fisico è generalmente vietato. Gli incontri si svolgono in locali dotati di vetri divisori e sorveglianza costante. Tuttavia, alcune eccezioni sono previste per i minori di dodici anni, che possono avere un contatto fisico limitato con il parente detenuto, sempre sotto attento controllo. Le regole sono pensate per prevenire ogni possibile scambio illecito, mantenendo comunque un minimo di umanità nei rapporti familiari.
Sì. Il diritto all'affettività è sancito dall'articolo 18 dell'Ordinamento Penitenziario italiano, che prevede la possibilità di colloqui anche con persone diverse dai familiari, purché vi siano ragioni affettive fondate. Le autorità devono valutare caso per caso, tenendo conto della sicurezza ma anche della dignità della persona detenuta. La sentenza su Emanuello ha confermato questa interpretazione, rafforzando il principio che i diritti umani non possono essere del tutto sospesi nemmeno nel regime più restrittivo.