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Viterbo, le immagini dello stupro mandate anche al padre di un arrestato

La donna di 36 anni è stata abusata per oltre tre ore mentre era mezza svenuta: i due aggressori la filmavano mentre abusavano di lei e bestemmiavano perché la luce fioca non consentiva riprese nitide

Viterbo, le immagini dello stupro mandate anche al padre di un arrestato - foto 1
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Trapelano nuovi dettagli sullo stupro di Viterbo per il quale sono stati arrestati due giovani militanti di CasaPound, Chiricozzi e Licci.

La donna violentata nel seminterrato del pub Old Manners era semisvenuta mentre gli aggressori infierivano su di lei. Per vantarsi, gli arrestati avevano condiviso il video dello stupro su una chat WhatsApp letta da diversi componenti del Blocco Studentesco. Tra i destinatari anche il padre di Licci.

Come ricostruito dal Gip,  la vittima era in uno stato di semi incoscienza per il pugno ricevuto in faccia da uno degli stupratori e per l'effetto di alcol e ansiolitici. Dopo lo svenimento, i fermati l'avrebbero spogliata e avrebbero iniziato la violenza mentre - spiega l'ordinanza di arresto - "si trovava in un evidente stato confusionale, ai limiti dell'incoscienza".  Il video di sette minuti la mostra inerme e sdraiata sul pavimento, violentata a turno dai suoi aggressori anche con oggetti. 

Gli stupratori la minacciavano di ammazzarla mentre bestemmiavano perché le immagini riprese erano poco nitide. A un certo punto Licci controllava il cellulare e diceva: "Oh non si vede gnente", così si spostavaa per cambiare l'angolazione e ricominciare il filmino con cui si sarebbe poi vantato online. 

Il video infatti, è stato condiviso su una chat WhatsApp dell'organizzazione neofascista Blocco studentesco. Viste le immagini raccapriccianti il padre di Licci lo invitava a disfarsi il prima possibile del telefono, mentre un altro componente del gruppo suggeriva di fare "l'hard reset del telefono".

In effetti, Chiricozzi segue i consigli e cancella l'intera app e resetta anche l'hard disck delle telecamere del pub. Licci, invece, non fa in tempo o non riesce a rimuovere le immagini compromettenti che, così, entrano negli atti dell'indagine.