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Caso Bellomo, una borsista: "Firmai un contratto di schiavitù sessuale"

Per il gip del Tribunale di Bari che ha disposto lʼarresto dellʼex giudice, il controllo sulle studentesse avveniva anche attraverso "il monitoraggio dei social network", esaminando foto e like ai loro post

Caso Bellomo, una borsista:
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"Ho sottoscritto un contratto di schiavitù sessuale".

Questa confidenza di una borsista della Scuola di Formazione di Francesco Bellomo alla sorella è contenuta nell'ordinanza di arresto dell'ex giudice del Consiglio di Stato per i reati di maltrattamenti ed estorsione. Per il gip del Tribunale di Bari Antonella Cafagna il controllo di Bellomo sulle sue studentesse avveniva anche attraverso "il monitoraggio dei social network", esaminando foto e like ai loro post.

Testimonianze-chiavi La ragazza che parlava con sua sorella di schiavitù, si sfogava anche con un'altra corsista: "Ho rinunciato alla borsa ma sono terrorizzata dalla reazione", "mi stanno facendo paura", "non vogliono lasciarmi andare".

Sentita dagli inquirenti della Procura di Piacenza, che aveva avviato un'altra indagine su Bellomo e i cui atti sono stati in parte trasmessi a Bari, la presunta vittima, spiegando il controllo che l'ex giudice aveva sui suoi social network, ha dichiarato di vergognarsi "delle foto che sono stata costretta mettere, mi facevo schifo da sola, mi sentivo messa in vendita".

Bellomo l'avrebbe anche accusava di intrattenere relazioni con altri uomini sulla base di scambi di like su Facebook, definendola "scientificamente una prostituta". Dopo la pubblicazione sulla rivista della scuola dei dettagli intimi della borsista "punita" per aver violato gli obblighi imposti dal contratto, Bellomo avrebbe anche bandito un "concorso tra i corsisti lettori" con in palio l'iscrizione gratuita al corso dell'anno successivo "per chi avesse fornito la migliore spiegazione dei comportamenti della ragazza".

In uno dei messaggi rivolti invece a una ricercatrice della scuola "colpevole" di essere uscita di sera senza la sua autorizzazione, scriveva: "Non autorizzerò più uscite serali e mentre attendevo che ti facessi viva, mi sono fatto una lesione al pettorale, perché ho perso la concentrazione. Questo significa avere a fianco un animale. Perché tu sei così".

"Gli animali non conoscono dispiacere - scriveva l'ex giudice in un altro messaggio. - La decisione di uscire ieri sera è l'ennesima riprova del tuo dna malato. Agisci come un selvaggio, ignorando le regole".

Bellomo pretendeva "dedizione" come "l'obbligo di rispondere immediatamente alle sue telefonate e messaggi abbandonando qualsiasi attività, anche lavorativa, in cui fosse in quel momento impegnata". Lui doveva essere per lei una "assoluta priorità".

All'indomani dell'ennesimo litigio, dopo le scuse della ragazza, lui avrebbe preteso che "si inginocchiasse e gli chiedesse perdono". "Non ha il significato della sottomissione - scriveva in un altro messaggio - ma della solennità. Con le forme rituali".

Bellomo e il dress code: classico, intermedio o estremo

Il controllo di foto e like sui social network Bellomo avrebbe instaurato, dunque, con alcune borsiste "rapporti confidenziali e, in alcuni casi, sentimentali" e, "facendo leva sul rispetto degli obblighi assunti", avrebbe posto in essere "sistematiche condotte di sopraffazione, controllo, denigrazione e intimidazione consistite nel controllarne, anche nel timore che intrattenessero relazioni personali con altri uomini, le attività quotidiane, le relazioni personali e in genere le frequentazioni, anche attraverso il monitoraggio dei social network", vagliando foto e like ai loro post.

Alle ragazze sarebbero stati imposti "la cancellazione di amicizie, di fotografie pubblicate", "l'obbligo di immediata reperibilità", il "divieto di avere rapporti con persone con un quoziente intellettivo inferiore ad uno standard da lui insindacabilmente stabilito", l'obbligo di "indossare un determinato abbigliamento e di attenersi a determinati canoni di immagine, anche attraverso la pubblicazione sui social network di foto da lui scelte".

"Qualora il loro comportamento non corrispondesse ai suoi desiderata", Bellomo le avrebbe "umiliate, offese e denigrate", anche "attraverso la pubblicazione sulla rivista on line della scuola delle loro vicende personali". Le avrebbe anche minacciate "di ritorsioni sul piano personale e professionale" e di "azioni legali in sede civile e penale".