Lo scrivono i pm nelle richieste di misure cautelari relative all'inchiesta sulla presunta corruzione
Venezia, Piazza San Marco © Istockphoto
Fin dall'inizio dell'indagine della Procura veneziana sul Comune di Venezia per presunti reati amministrativi sarebbe emerso "un contesto amministrativo improntato a un'illegittimità diffusa" soprattutto nei settori urbanistico, dell'edilizia e delle gare d'appalto. Lo scrivono i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, nelle richieste di misure cautelari relative all'inchiesta sulla presunta corruzione. I pm ravviserebbero anche una "corruzione ambientale", con criticità nella struttura amministrativa del Comune, delle partecipate, nella Città Metropolitana o in strutture regionali come la Commissione Vas o l'Arpav. Tra gli indagati anche il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro.
Il blind trust che gestisce le aziende di Luigi Bugnaro durante la sua carica di sindaco "è inefficace perché è evidente come Brugnaro non abbia in realtà dismesso la propria partecipazione" alle società. Il fondo cieco, inoltre, sarebbe in mano ai "fedelissimi" del sindaco, ovvero alti funzionari del Comune "persone che svolgono tuttora l'incarico di amministratori del reticolato di società" del primo cittadino. Sono alcune delle accuse che la Procura di Venezia, si legge nelle carte di richiesta delle misure dei pm, rivolge a Brugnaro. Ci sarebbe stato "un sistematico perseguimento di interessi personali", scrivono i magistrati.
Nella richiesta di misure cautelari firmata dai pm compare anche il capitolo "Le difficoltà nell'attività intercettiva" in cui si elencano le tecnologie anti-infiltrazione che sarebbero state usate per evitare d'essere ascoltati dagli investigatori: cambi di telefono, soffiate (anche da un militare infedele) sulle intercettazioni in corso e sistemi anti-trojan. Alcuni funzionari pubblici avrebbero chiesto perfino alla società comunale Venis di avere "apparati di ultima generazione non infiltrabili".
Dalle carte dei pm emerge che "l'interesse per il proficuo utilizzo dell'area dei Pili (41 ettari di zona lagunare inquinata, ndr) non è mai cessato. Si può anzi affermare, anche alla luce delle attività di intercettazione, che la messa a profitto dell'area dei Pili costituisce, permanentemente, un cruccio per il sindaco". Quanto al fatto che il primo cittadino e i suoi collaboratori Ceron e Donadini figurino solo come indagati, viene osservato che il reato ascritto per la vendita di Palazzo Papadopoli risalirebbe al 2016, e "il decorso di oltre sei anni dai fatti rende inattuali le esigenze cautelari".