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Pescatori siciliani incarcerati in Libia, il dramma dei familiari: "Le parole non bastano più, il governo ci ha tradito"

A "Quarta Repubblica" le voci delle mamme e delle mogli dei mazaresi sequestrati dalle milizie di Haftar: "Mio figlio mi ha chiesto aiuto, devono liberarli"

 

I loro cari sono nelle carceri libiche da quasi un mese, senza aver fatto nulla di male, e ora chiedono al governo di intervenire in modo risolutivo. "Le parole non servono più, devono liberarli", dicono a "Quarta Repubblica" i familiari dei dieci pescatori di Mazara Del Vallo, fermati in mare dalle milizie libiche il primo settembre e trattenuti nelle galere di Bengasi con l'accusa di traffico di droga.

 

"Mi figlio mi ha chiesto aiuto, mi ha detto che lì non possono restare", racconta in studio la mamma di Pietro, uno dei due comandanti dell'imbarcazione sequestrata dai libici. "Io ho già perso in mare un figlio, devono liberarli - aggiunge la donna che poi denuncia - Siamo tutti disperati, avevamo fiducia nel governo, ma ci hanno tradito tutti, ci hanno abbandonato".


I pescatori mazaresi sono stati accusati di essere trafficanti di droga, dieci giorni dopo il fermo: un'accusa falsa, secondo i parenti. La vera richiesta delle milizie del generale Haftar, ricostruisce la trasmissione di Nicola Porro, è quella di scarcerare quattro giovani libici fermati nel 2015 con l'accusa di essere scafisti e condannati per aver provocato la morte di decine di migranti durante una traversata.