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Delitto di Rozzano, c'è la premeditazione: l'omicida resta in cella

Eʼ la motivazione con cui il gip ha convalidato il fermo dellʼuomo, il quale però sostiene la tesi della vendetta non programmata

Delitto di Rozzano, c'è la premeditazione: l'omicida resta in cella - foto 1
carabinieri

Nell'omicidio del 63enne ucciso lunedì dall'ex genero a Rozzano, nel Milanese, perché accusato di abusi sessuali sulla nipotina "c'è stata premeditazione".

A sostenerlo è il gip, che per questo ha convalidato il fermo emettendo, come richiesto dai pm, un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di omicidio aggravato dalla premeditazione. L'assassino, invece, continua a sostenere che la sua è stata una vendetta, ma non programmata.

Il gip: "I killer possono uccidere ancora" - Possono uccidere ancora, fuggire e danneggiare le indagini. E' per tutte e tre le esigenze cautelari previste dalla legge, il pericolo di reiterazione del reato, quelli di fuga e di inquinamento probatorio, che il gip Elisabetta Meyer ha disposto la misura cautelare in carcere a carico del 35enne e del presunto complice che guidava lo scooter dal quale sono stati esplosi i cinque colpi di pistola.

Arma non ancora trovata - L'arma non è ancora stata ritrovata e malgrado investigatori ed inquirenti abbiano chiesto a più riprese al 35enne dove l'abbia nascosta, l'uomo non ha voluto fornire, al momento, elementi per permettere ai carabinieri di recuperarla. Il giudice, emettendo l'ordinanza di custodia in carcere per omicidio aggravato dalla premeditazione sulla base delle tre esigenze cautelari, ha accolto le richieste del pm Monia Di Marco e del procuratore aggiunto Letizia Mannella.

Il tentativo di scagionare l'amico - Il padre della bambina, 35 anni e con precedenti penali, aveva cercato di liberare dalle responsabilità il suo amico di 27 anni, sostenendo che non fosse a conoscenza di quello che lui, poi, avrebbe fatto in quel parchetto vicino ad un supermercato. Una tesi ribadita sia nell'interrogatorio davanti al pm e ai carabinieri che ha portato al fermo tre giorni fa, sia in quello di giovedì davanti allo stesso gip.

L'assassino parla di vendetta "istintiva" - Il 35enne, pur confessando l'omicidio, aveva parlato infatti di una reazione "istintiva", d'impeto e di "vendetta", causata da un "blackout mentale" e non di un'azione già decisa e preordinata. Il giudice ha invece confermato l'aggravante della premeditazione per entrambi i fermati, i quali potrebbero anche venire condannati l'ergastolo.

Le due ore precedenti il delitto - Soltanto due ore prima del delitto, tra l'altro, nel Palazzo di Giustizia di Milano si era concluso un incidente probatorio in cui la bimba di otto anni aveva parlato degli abusi che avrebbe subito dal nonno. Da quell'incidente probatorio, al quale era presente anche la madre della piccola, figlia del 63enne ucciso, era arrivata la conferma dei racconti già resi dalla bambina alla polizia in un'audizione protetta. Poco dopo il nonno è stato ucciso come in una "esecuzione" e proprio su questa vicinanza temporale sono ancora in corso approfondimenti.

Gli inquirenti, allo stesso tempo, stanno anche vagliando l'ipotesi che il 63enne potesse essere stato attirato in una "trappola" per portare a termine la "vendetta" contro di lui, ed essere stato, dunque, invitato appositamente a tornare da Napoli a Rozzano, dove non passava più da mesi ormai, solo pochi giorni prima di essere ucciso.