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Bimba morta in casa, la madre resta in carcere per omicidio volontario | "Volevo un futuro con il mio compagno"

Il gip ha confermato il fermo e disposto la custodia in carcere. Esclusa l'aggravante della premeditazione

Il gip di Milano ha convalidato il fermo e disposto la custodia in carcere per omicidio volontario nella forma omissiva aggravato dai futili motivi per Alessia Pifferi, la 37enne che per più di 6 giorni ha lasciato la figlia Diana di un anno e mezzo a casa da sola facendola morire di stenti. Il giudice ha escluso dunque l'aggravante della premeditazione contestata dalla procura e ha qualificato l'omicidio volontario nell'ipotesi dell'omissione.

 

 

"Volevo un futuro con il mio compagno" - "Io ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui (il compagno, ndr) e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire; è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire". Così Alessia Pifferi, durante l'interrogatorio con il gip, ha tentato di giustificare il suo comportamento. 

 

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Gip: "Lo scopo della madre non era morte della figlia, ma l'ha voluto" - La donna, secondo il gip, non si è limitata a prevedere e accettare "il rischio" che la piccola morisse ma, "pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente" lo ha voluto, come è risultato anche da varie dichiarazioni del suo interrogatorio, tra cui i riferimenti alla "paura" e "all'orgoglio di non chiedere aiuto alla sorella". Sorella che avrebbe potuto "in qualsiasi momento andare nel suo appartamento a soccorrere la figlia".

 

Gip: "Ha anteposto relazione a sofferenze Diana" - Stando a quanto scrive il gip, la Pifferi aveva una "forma di dipendenza psicologica dall'attuale compagno, che l'ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell'inflizione di enormi sofferenze" alla bimba. Con una "condotta dall'impatto intrinsecamente ed estremamente violento, anche se non in forma commissiva, nei confronti della persona in assoluto più vulnerabile". La donna, prosegue il giudice, è "incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti" e non ha "rispetto per la vita umana". 

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