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Afghanistan, a Fiumicino l'aereo con gli italiani evacuati da Kabul | "Ho il cuore infranto"

Tra di loro diplomatici, in testa l'ambasciatore Vittorio Sandalli, imprenditori e operatori italiani, giornalisti e 20 afgani (anche famiglie con bimbi) che hanno collaborato con il contingente italiano

Il velivolo dell'Aeronautica militare proveniente da Kabul con 74 persone a bordo tra personale diplomatico ed ex collaboratori afghani è atterrato all'aeroporto di Roma Fiumicino. Tra loro l'ambasciatore Vittorio Sandalli, imprenditori e operatori italiani, giornalisti e 20 afgani (anche famiglie con bimbi) che hanno collaborato con il contingente e con la cooperazione italiana. 

Sollievo per essere arrivati sani e salvi dopo la fuga dal caos dell'aeroporto di Kabul. Amarezza e rabbia per aver lasciato un Afghanistan nelle mani dei talebani. E angoscia per la sorte di chi è rimasto. Sentimenti contrastanti nel bagaglio dei 70 arrivati a Fiumicino sul Kc767 dell'Aeronautica Militare partito dall'Hamid Karzai international airport.

 

Il ponte areo proseguirà nei prossimi giorni, ma il piano di evacuazione messo a punto della Difesa deve fare i conti con la difficile situazione dello scalo della Capitale. Il piano curato dal Comando operativo di vertice interforze prevedeva già il trasferimento di altre persone in Italia su voli commerciali, ma la chiusura dell'aeroporto civile non lo ha permesso. Martedì era in programma un altro viaggio di un Kc767 dell'Aeronautica, ma anche questo è saltato per la mancanza di condizioni di sicurezza.

 

Allo scalo di Kabul è arrivata un'aliquota del Joint Force Headquarter (Jfhq), militari interforze altamente specializzati per dirigere e coordinare le operazioni di rientro. La Difesa assicura che il dispositivo rimarrà operativo all'aeroporto "fino all'imbarco dell'ultimo collaboratore, fino a quando le condizioni di sicurezza lo consentiranno". Saranno infine i militari gli ultimi a lasciare il Paese, a bordo di un C130 dell'Aeronautica.

 

 

Se gli italiani da riportare in patria sono ormai pochi (tutti coloro che avevano fatto richiesta sono stati accontentati), preoccupa il destino dei collaboratori afgani e delle loro famiglie rimasti nel loro Paese. A partire dallo scorso giugno, ne sono già arrivati 250 con l'operazione Aquila, che è stata ribattezzata 'Aquila Omnia' per sottolineare la volontò che tutti possano giungere in Italia. Ne mancano ora all'appello circa 400.

 

Si tratta di interpreti, autisti, baristi, personale vario che ha supportato il contingente italiano ad Herat ed i progetti di cooperazione in varie zone e che è ora nella 'lista nera' dei talebani per aver collaborato con le forze occidentali. In tanti sono nella zona di Herat e le estreme difficoltà di collegamenti con la Capitale rendono complicato il trasferimento.

 

 

 

L'appello per chi è ancora a Kabul - Ma il tempo stringe, come spiega a Fiumicino Arif Oryakhail, medico afgano che lavora con l'Agenzia italiana per la Cooperazione: "Ci sentiamo traditi. Ho paura per chi ha lavorato con noi ed ora sta per morire. I talebani li cercano casa per casa. Abbiamo lasciato migliaia di persone che rischiano la vita. La situazione è gravissima. Faccio appello alla comunità internazionale: li salvi".

 

Come i connazionali arrivati prima di loro, i venti afgani sono stati trasferiti nella Base logistico addestrativa dell'Esercito di Roccaraso. Ma tra i rientrati ci sono anche italiani. Come Pietro del Sette, che si occupa di cooperazione e sviluppo dell'agricoltura e ha vissuto per 11 anni in Afghanistan. "Ho visto all'inizio - racconta - la speranza di un Paese che poteva rifiorire, ora vediamo un Paese con il cuore in gola".

 

"La speranza - aggiunge - è che la componente dell'aeroporto militare riesca a portare a termine le operazioni di rimpatrio". Un altro italiano esperto in logistica e lavoro, si limita a dire con la voce spezzata: "Ho il cuore infranto".

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