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Covid, la bambina di 11 anni ricoverata a Bologna è uscita dalla terapia intensiva

Enorme gioia al Sant'Orsola: "Ci abbiamo sperato, ci abbiamo provato, ci abbiamo creduto".

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Getty

La bambina di 11 anni che da alcune settimane è ricoverata all'ospedale Sant'Orsola di Bologna in gravi condizioni per Covid ha reagito alle cure ed è uscita dalla terapia intensiva. "Le notizie che fanno bene. Le notizie che ci aiutano ad andare avanti", si legge sulla pagina Facebook del policlinico. "Noi ci abbiamo sperato, ci abbiamo provato, ci abbiamo creduto".

All'interno del policlinico la gioia è davvero enorme: "Abbiamo vegliato su di lei, l'abbiamo accarezzata, le abbiamo fatto ascoltare la sua musica preferita, le abbiamo parlato. Il nostro lavoro - si legge ancora su Fb  - è non lasciare mai soli i pazienti. Giorno e notte, senza pausa dai dispositivi di protezione per bere, mangiare e riposare, controllando i parametri vitali, sempre pronti a intervenire".

 

Arezzo, un "tesserino" con foto sopra la tuta anti-Covid per farsi riconoscere dal marito ricoverato

"Non lo vedevo da 15 giorni. Gli infermieri mi avevano vestita con tutte le protezioni possibili. Mi sono avvicinata al letto: non mi ha riconosciuta. Gli ho parlato: non ha riconosciuto nemmeno la mia voce". Patrizia è rimasta ferma di fronte al letto del marito nella degenza Covid di Pneumologia dell'ospedale San Donato di Arezzo. Lei era stata contagiata ma in forma lieve ed era rimasta in isolamento a casa. Lui, Sergio, il 15 febbraio scorso era entrato in ospedale. Ne è uscito ieri ed è adesso nelle cure intermedie.

 

Non sono due anziani: entrambi hanno 52 anni. Patrizia è una maestra di religione in una scuola dell'infanzia, Sergio è un istruttore di scuola guida. "Quando l'ho visto sul letto - racconta Patrizia - ho avuto la conferma di quanto fragili e deboli si sia durante la malattia. Soprattutto se si tagliano tutti i fili con la famiglia e gli amici. Se poi il contatto, quello visivo, avviene attraverso camici, visiera, doppia mascherina, si rischia addirittura di non riconoscersi, anche dopo 30 anni di matrimonio".

 

Superato l'impatto, Patrizia ha avuto un'idea. E' tornata a casa, ha preso una sua foto e si è creata da sola una specie di grande tesserino di riconoscimento. L'ha sistemato sul camice con una didascalia ben visibile: "dentro la tuta ci sono io". Ed è tornata al letto del marito. "La prima cosa che ha fatto - racconta - è stata quella di accarezzare la foto. Era ancora un po' incerto su chi ci fosse dietro la maschera e dentro la tuta, ma nessun dubbio su chi fosse la donna della foto: era sua moglie, ero io. Quando mi ha riconosciuta, siamo scoppiati a piangere: è stato veramente un ritrovarsi dopo un viaggio terribile che avevamo fatto in solitudine, uno lontano dall'altra". 

 

Sergio è stato ricoverato nello stesso periodo di una paziente alla quale è stato portato in reparto il suo cane Whiskey. "Ho visto l'emozione e la gioia di quella anziana signora e come sia poi migliorata - prosegue Patrizia -. Noi non abbiamo un cane ma ho pensato che un qualcosa che ricordasse casa avrebbe potuto fare bene a Sergio. Così gli ho portato un cane di peluche, anche lui con un tesserino sul quale ho scritto "Se ha funzionato con la signora, te dovresti uscire facendo le capriole! Proviamo?". Non gli avrà fatto bene quanto il cane vero alla signora, ma il suo umore è comunque migliorato".

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"Qui al Sant'Orsola continuiamo con determinazione il nostro lavoro di squadra per la cura di tutti i pazienti - si conclude il comunicato -: 402 i posti letto dedicati al Covid allestiti, di cui 100 di area critica, terapia intensiva e semi intensiva. Lo sforzo è pesantissimo per gli operatori e per l'organizzazione. In tutta Bologna e provincia - conclude il post - sono 1300 i posti letto Covid, come se tutti i 32 padiglioni del Policlinico di Sant'Orsola fossero un grande Covid Hospital. #soloinsiemesipuò".

 

Vicenza, matrimonio in ospedale per un paziente grave e la sua compagna: come testimoni due membri del personale medico

Una stanza, ampia e assolata, dell'area di Ematologia dell'ospedale San Bortolo di Vicenza ha ospitato il matrimonio di un degente dello stesso reparto, alle prese con una grave neoplasia, che si è unito in matrimonio con la compagna di una vita. Ad officiare il rito civile due rappresentati del sindaco del capoluogo berico, i due figli della coppia e due testimoni, la coordinatrice del reparto, la Giulia, per lui, e il direttore Marco Ruggeri per lei. Lo sposo portava un vestito grigio scuro, con sgargiante cravatta floreale, mentre la sposa un elegante tailleur bianco. Al termine della cerimonia, condotta nella stretta osservanza delle norme anti-Covid, si è festeggiato con un brindisi, offerto dalla Direzione medica, che ha curato assieme a Giulia l'organizzazione dell'evento. "Agli sposi va l'augurio di tutto il personale dell'Ematologia, in rappresentanza degli operatori del San Bortolo, con il sincero auspicio al paziente di vincere la battaglia, per tornare dalla moglie per una lunga vita assieme", si legge sulla pagina Facebook ULSS 8 Berica.

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