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Covid, tracciamento e monitoraggio a rilento: la variante Delta sfugge ai test

Il Consorzio destinato a sequenziare il virus, annunciato dal ministero della Salute il 27 gennaio, di fatto non è mai decollato. Scarseggiano tecnici e reagenti e le analisi sono ridotte al minimo

Covid, i pericoli della variante Delta e le armi per contrastarla

L'Istituto superiore di sanità dice che in Italia la diffusione della variante Delta del Covid è pari all'1%. Siamo ancora ben lontani dal 90% dell'Inghilterra, se consideriamo le statistiche ufficiali. Ma l'alta contagiosità del nuovo ceppo e il basso livello del tracciamento e del monitoraggio da parte dei laboratori italiani preoccupano. Il Consorzio italiano che dovrebbe sequenziare il virus e tenere sotto controllo la risposta immunitaria alla vaccinazione non è di fatto mai decollato. 

"Variante Delta in forte espansione - Pochi i casi esaminati, nei quali viene scansionata solo una parte del genoma, con uno stato dell'indagine che non è in grado di dare una fotografia realistica della situazione. E se a fine agosto, come dice il presidente dell'Accademia dei Lincei Giorgio Parisi, la variante Delta "diventerà probabilmente dominante nel nostro Paese", scrive "Repubblica", questo sarebbe meglio "saperlo dai dati anziché dedurlo da quelli di altri Paesi". 

 

Il Consorzio di monitoraggio e i finanziamenti che mancano - La situazione di analisi e monitoraggio dei dati in Italia garantisce una copertura tutt'altro che soddisfacente. Negli orientamenti del ministero, al momento in cui si è dato vita al Consorzio, annunciato il 27 gennaio, si sarebbero dovuti monitorare migliaia di ceppi a settimana come avviene nel modello britannico, sottolinea il "Messaggero". Ma i finanziamenti non sono arrivati, e quindi neanche reagenti e tenici a sufficienza. E così il progetto è stato fortemente ridimensionato. I laboratori coinvolti allo stato attuale sono quindi tenuti a scansionare solo il 5% dei nuovi casi una-due volte al mese e in giorni prestabiliti dall'Iss. 

 

Commenta Mauro Pistello, ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all'Università di Pisa e vicepresidente della Società italiana di microbiologia: "Dal punto di vista statistico, per un'indagine con una buona affidabilità è la percentuale minima. Per un'indagine migliore si sarebbe dovuta alzare l'asticella, ma si è cercato di trovare un compromesso". Dal momento che mancano le risorse, sono state ridimensionate infatti anche le modalità della procedura di sequenziamento. 

 

Monitoraggio "al ribasso" - Viene "scansionata" solo una parte dell'intero genoma, "sufficiente per identificare la variante - riprende Pistello -. Ma se potessimo sequenziare tutto il virus di tutti i nuovi casi, come avviene per esempio in Inghilterra, i dati che forniamo sarebbero molto più utili, perché ci permetterebbero di capire se si stanno diffondendo varianti più difficili da intercettare con gli attuali test diagnostici, associate  a una maggiore capacità di indurre malattia o che rispondono meno alle terapie, per esempio, agli anticorpi monoclonali". Insomma, la strada giusta resterebbe quella di un'analisi estesa del genoma e di un alto numero di isolati virali: questo permetterebbe di muoversi in anticipo e capire esattamente che cosa sta circolando in Italia. 

 

I numeri della variante Delta in Italia - D'altra parte, già oggi, se la diffusione stimata per la Delta è pari all'1%, sappiamo che in diverse realtà la presenza è più alta: il 2,5% in Lombardia, l'1,5% in Veneto, l'1,2% in Emilia Romagna, il 3,4% in Lazio, l'1,1% in Puglia, il 2,9% in Sardegna, oltre a diversi focolai individuati in delimitate aree del Paese. Una ragione di più per alzare la guardia e cercare di fermare quello che oggi, dopo il caso della Gran Bretagna, appare come il pericolo numero uno. 

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