La Suprema Corte conferma i verdetti di primo e secondo grado: l'incidente del 2014 non è imputabile ai gradini consumati della scalinata ma alla distrazione dell'utente
Trinità dei Monti, Piazza di Spagna, Roma © Istockphoto
La Corte di Cassazione ha respinto in via definitiva il ricorso presentato da una donna che chiedeva 130 mila euro di risarcimento al Comune di Roma dopo la caduta avvenuta il 5 luglio 2014 sulla scalinata di Trinità dei Monti. Lo riporta il Corriere della Sera. Secondo i giudici, le condizioni della celebre scala - monumento storico, irregolare e non modificabile con interventi di manutenzione ordinaria - non possono essere considerate la causa dell'incidente. La donna, che aveva riportato fratture al gomito e al piede sinistro con danni permanenti del 22%, sarebbe dovuta ricorrere a maggiori cautele, soprattutto in una situazione di piena visibilità e senza ostacoli davanti a sé. Per questo, la responsabilità è stata attribuita alla sua distrazione e non allo stato dei gradini.
Secondo la ricostruzione contenuta negli atti, la donna era scesa lungo la prima rampa della scalinata di Trinità dei Monti quando era scivolata a terra, attribuendo la caduta alla presunta irregolarità dei gradini, ritenuti sconnessi, consumati e particolarmente scivolosi nonostante l'assenza di pioggia. Aveva inoltre evidenziato l'assenza di cartelli di pericolo e di qualsiasi presidio antinfortunistico. L'incidente aveva provocato lesioni significative: la lussazione del gomito sinistro con frattura del capitello radiale e della coracoide, oltre alla frattura del piede sinistro. La donna era stata sottoposta a un intervento chirurgico e aveva riportato danni permanenti del 22%, oltre a un'inabilità temporanea totale di 90 giorni e parziale di altri 90 giorni.
La richiesta di risarcimento era stata respinta sia in primo grado sia in Appello. La Corte d'Appello di Roma aveva sottolineato come, in sede di interrogatorio, la donna avesse dichiarato di conoscere già la scalinata, di averla percorsa altre volte e di essere scesa in condizioni di piena visibilità e senza pioggia. Inoltre, non vi erano altre persone davanti a lei che potessero ostacolare la visuale. Questi elementi avevano portato i giudici a escludere che le condizioni della scalinata potessero essere considerate la causa diretta dell'incidente. La Cassazione ha confermato integralmente tali valutazioni, condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali, quantificate in 7.700 euro.
Nella sentenza, la Corte di Cassazione ha richiamato le caratteristiche intrinseche della scalinata di Trinità dei Monti, definendola un bene monumentale antico e privo di un "dinamismo proprio". La struttura, per la sua rilevanza artistica e storica, non può essere oggetto di interventi ordinari che ne altererebbero l'identità originaria. Di conseguenza, le eventuali irregolarità dei gradini non sono considerate un elemento di pericolosità, ma una caratteristica connaturata al monumento. I giudici hanno precisato inoltre che una caduta "su di una scala" non equivale a una caduta "a causa della scala" se non emergono elementi oggettivi che colleghino il sinistro a difetti specifici della struttura.
La Suprema Corte ha fatto riferimento al principio della prevedibilità e superabilità del pericolo da parte dell'utente. Quanto più una situazione di potenziale rischio è prevedibile e gestibile mediante l'adozione di normali cautele, tanto più risulta determinante il comportamento dell'utilizzatore. Nel caso esaminato, la donna aveva dichiarato di aver percorso la scalinata in condizioni ottimali: tempo sereno, gradini pienamente visibili e assenza di altri passanti davanti a lei. Di conseguenza, secondo la Cassazione, la caduta è da attribuire principalmente all'imprudenza dell'utente e non a una condizione anomala della scalinata.
Le conclusioni della Cassazione si fondano su una valutazione complessiva della dinamica, della natura della scalinata e delle dichiarazioni rese dalla stessa ricorrente. La struttura, pur caratterizzata da irregolarità legate all'usura e all'antichità, non presenta elementi tali da configurare una responsabilità del Comune. La donna, conoscendo il luogo e trovandosi in condizioni di piena visibilità, avrebbe dovuto prevedere eventuali asperità dei gradini e adottare comportamenti adeguati. Per questo la Suprema Corte ha considerato prevalente l'efficienza causale della condotta imprudente dell'utente e ha rigettato definitivamente la richiesta di risarcimento.