Il tribunale di secondo grado ha confermato la responsabilità dei funzionari per il rimpatrio della moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, con pene fino a cinque anni e riduzione parziale dell’interdizione
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La Corte di Firenze ha confermato le condanne per cinque funzionari di polizia nel processo d'Appello bis sul rimpatrio di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa nel 2013 insieme alla figlia di sei anni. La condanna ha riguardato il reato di sequestro di persona in relazione a irregolarità nelle procedure di espulsione. Le pene sono rimaste comprese tra quattro e cinque anni di reclusione, come nel primo grado pronunciato dal tribunale di Perugia. La Corte ha riformato parzialmente solo l'interdizione dai pubblici uffici, riducendola da perpetua a cinque anni. Il procuratore generale Luigi Bocciolini aveva chiesto l'assoluzione, mentre la parte civile aveva chiesto la conferma delle condanne e i risarcimenti.
Restano le condanne a cinque anni per gli ex capi della squadra mobile e dell'ufficio immigrazione di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta, e per i funzionari della mobile Luca Armeni e Francesco Stampacchia. È confermata a quattro anni la pena per Vincenzo Tramma, dell'ufficio immigrazione. Gli imputati sono condannati anche al pagamento delle spese processuali e ai risarcimenti.
La vicenda risale alla fine di maggio 2013, quando Alma Shalabayeva e la figlia Alua, che all'epoca aveva 6 anni, furono trasferite e rimpatriate in Kazakistan in esecuzione di un provvedimento di espulsione. Nella ricostruzione riportata in aula, il rimpatrio ha costituito un pericolo per madre e figlia a causa delle persecuzioni politiche in madrepatria; tale circostanza è richiamata nelle posizioni della parte civile e della famiglia.
Sulla decisione dei giudici è intervenuto anche il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. "Pur nel rispetto sempre dovuto alle decisioni giudiziarie, sento di esprimere la mia vicinanza personale ai cinque dirigenti della polizia condannati nel caso Shalabayeva - ha detto -. È una vicenda estremamente complessa - come dimostrano sia la assoluzione della Corte di Appello di Perugia in appello sia la richiesta di assoluzione del PG di Firenze - con esiti inaspettati. Tutto questo a conferma di quanto sia difficile, per chi lavora per la sicurezza dei cittadini, svolgere i compiti assegnati e corrispondere alle attese senza rischiare personalmente. Rimane il fatto che sono stati condannati servitori dello Stato con un curriculum importante e una vita trascorsa a lavorare per affermare i principi di legalità e giustizia. Per questo, la mia speranza è che nell'ultimo grado di giudizio possano essere assolti da ogni accusa".
"Decisione molto difficile da prendere contro altri funzionari, ma decisione giusta. Vorrei dire a tutti che è stata presa una decisione incredibile, è difficile stare contro altri funzionari dello Stato italiano. Era difficile che la giustizia stesse con me", ha dichiarato Alma Shalabayeva per poi aggiungere: "Grazie a tutte le persone che hanno avuto fiducia in me, grazie a voi ho avuto questa decisione giusta oggi, grazie".
Il procuratore generale di Firenze Luigi Bocciolini aveva chiesto l'assoluzione mentre la parte civile aveva chiesto la condanna per tutti e il risarcimento. La Corte ha confermato la sentenza di primo grado del tribunale di Perugia per gli imputati appellanti, con la sola parziale riforma dell'interdizione dai pubblici uffici da perpetua a cinque anni. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni.
"Il giorno in cui cinque servitori dello Stato vengono condannati senza che venga riconosciuta la complessità e la gravità del contesto in cui hanno operato, è un giorno che aggiunge una ferita alla polizia di Stato". Così Domenico Pianese, segretario del sindacato di polizia Coisp, commentando la sentenza. "Una decisione che rispettiamo, ma che non possiamo fingere di non vedere per ciò che rappresenta, ovvero l'ennesima sentenza che guarda alla superficie e non al quadro reale".
"Quella del caso Shalabayeva - ha aggiunto Pianese - è stata un'operazione gestita in poche ore nel rispetto delle ordinarie procedure. Quei poliziotti sono stati chiamati ad agire e hanno agito, adempiendo al proprio dovere in un contesto operativo estremamente complesso. Il punto è che oggi, dieci anni dopo, vengono condannati come se fossero stati loro i decisori, mentre chi ha avuto responsabilità di livello superiore liquida tutto parlando di 'irregolarità procedurale', come fosse un semplice inciampo burocratico". "Resteremo accanto ai nostri colleghi e non per spirito corporativo, ma perché la verità processuale non può cancellare la verità operativa. Ed è quest'ultima, troppo spesso, a non entrare nei verdetti", ha concluso.