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Lamezia, "nel 2010 uccise mio padre e altri 7 ciclisti e ora un altro morto: chi gli ha ridato la patente?"

Parla la figlia di una vittima della strage sulla strada del 33enne Chafik Elketani, che undici anni dopo, al volante di un'auto a noleggio, ha causato un altro incidente mortale

"Sono indignata, furibonda. Vorrei sapere chi gli ha ridato la patente a questo signore? I giudici l'avevano quasi graziato, all'epoca, condannandolo a 5 anni dopo aver ucciso 8 persone". Non si dà pace Simona Cannizzaro, figlia di Giovanni, uno degli 8 ciclisti che il 5 dicembre 2010 fu travolto e ucciso sulla statale 18 Tirrenica dal marocchino Chafik Elketani, oggi 33enne. Lunedì, undici anni dopo quella strage, Elketani ha causato un altro incidente mortale sulla strada dei Due Mari, tra Marcellinara e Lamezia Terme (Catanzaro). "La notizia del nuovo incidente stava passando in sordina. Nessuno sembrava volerne parlare. Forse era strafatto di droga come allora? O forse si deve coprire qualcuno per il solo fatto di aver rilasciato la patente a un signore che ha lasciato tanti orfani in città?", si chiede la donna a Il Corriere della Sera.

"Volevo dimenticare questa storia, tenendomi dentro il mio dolore - aggiunge Simona Cannizzaro. - Dopo questo nuovo incidente causato sempre da questo signore, ho sentito la necessità di comunicare tutta la mia rabbia, anche per onorare la memoria di mio padre".

 

"Anche in questi casi - accusa - c'è una giustizia di serie A e una di serie B. Non siamo stati trattati bene. Otto morti. Padri di famiglia, figli, professionisti, un gruppo di amici che ha incontrato la morte mentre era in bici, la loro passione, falciati da un cocainomane. Anche senza l'omicidio stradale, che pena è stata data a questo signore?". Nel 2010, infatti, non c'era il reato di omicidio stradale.

 

Chafik Elketani, ricorda Il Corriere della Sera, è figlio del leader della comunità di marocchini che gestisce il commercio ambulante in Calabria. "Questo signore è stato fortunato, noi famigliari delle vittime siamo gente per bene, che non pensano certo di farsi giustizia da soli", conclude Simona Cannizzaro.

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