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Borsellino, giudici: non solo Cosa nostra dietro la strage | Agenda rossa rubata non da mafiosi

I magistrati di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini non hanno dubbi: ci fu una partecipazione (morale e materiale) all'eccidio di Via D'Amelio di altri soggetti 

Non c'era solo la mafia dietro la strage di via D'Amelio Lo scrivono i giudici del tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini.

"L'istruttoria dibattimentale ha consentito di apprezzare una serie di elementi utili a dare concretezza alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di Via D'Amelio di altri soggetti (diversi da Cosa nostra) e/o di gruppi di potere interessati all'eliminazione di Paolo Borsellino". "Può ritenersi certo che la sparizione dell'agenda rossa non è riconducibile ad una attività materiale di Cosa nostra", aggiungono.

 

L'anomala tempistica della strage - A dimostrare l'ingerenza di terzi soggetti, per i giudici, ci sarebbe l'anomala tempistica della strage di Via D'Amelio (avvenuta a soli 57 giorni da quella di Capaci). "Non è aleatorio sostenere - si legge - che la tempistica della strage di Via D'Amelio rappresenta un elemento di anomalia rispetto al tradizionale contegno di Cosa nostra volto, di regola, a diluire nel tempo le sue azioni delittuose nel caso di bersagli istituzionali (soprattutto nel caso di magistrati) e ciò nella logica di frenare l'attività di reazione delle istituzioni".

L'agenda rossa rubata non da mafiosi - Altro elemento che porta i giudici a ipotizzare il coinvolgimento di un soggetto estraneo a Cosa nostra è il mistero del furto della famosa agenda rossa di Borsellino. "A meno di non ipotizzare scenari inverosimili - si legge -  di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di esponenti delle forze dell'ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell'agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra".

Strage di via D'Amelio, l'Italia ricorda Paolo Borsellino

L'Italia ricorda la strage di via D'Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta. Era il 19 luglio 1992, quando una Fiat 126 contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo saltò in aria in via Mariano D'Amelio 21 a Palermo, sotto il palazzo dove viveva la madre di Borsellino, presso la quale il giudice quella domenica si stava recando in visita. L'attentato, di stampo mafioso, fu il secondo nel giro di due mesi: il 23 maggio 1992 era toccata la stessa sorte a Giovanni Falcone, rimasto ucciso nella strage di Capaci.

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Soggetti terzi volevano alterare il quadro delle investigazioni - Dal furto dell'agenda rossa, per i giudici, si ricavano due dettagli fondamentali.  "In primo luogo, l'appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l'agenda.- scrive il tribunale - Gli elementi in campo non consentono l'esatta individuazione della persona fisica che procedette all'asportazione dell'agenda, ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e, per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario o opportuno sottrarre".   "In secondo luogo,- concludono - un intervento così invasivo, tempestivo (e purtroppo efficace) nell'eliminazione di un elemento probatorio così importante per ricostruire - non oggi, ma già 1992 - il movente dell'eccidio di Via D'Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per alterare il quadro delle investigazioni, evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage ( che si aggiungono a quella mafiosa) e, in ultima analisi, di svelare il loro coinvolgimento nella strage di Via D'Amelio".

 

La biografia di Paolo Borsellino

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